venerdì 26 luglio 2013

Letta dura senza paura - Marco Travaglio - Il F.Q. 26/07/2013

Brrr che paura: Enrico Letta minaccia lotta dura senza paura, “con forza e determinazione”, contro l’evasione fiscale: “Gli italiani che hanno portato i soldi fuori dall’Italia devono sapere che non è più come 5 o 10 anni fa: conviene anche a loro riportare i soldi in Italia e pagare il dovuto”. E questo perché “il clima è cambiato” e “non ci sono più le coperture di qualche anno fa”. Quindi gli evasori verranno inseguiti e catturati ovunque siano, “nei paradisi fiscali o in Svizzera”. Non è meraviglioso? Il clima è talmente cambiato che B., dopo aver perso le elezioni, è di nuovo al governo. Pare incredibile, ma ha lo stesso nome e lo stesso cognome di quello che nel 2001, nel 2003 e nel 2009 varò tre scudi fiscali per consentire a chi aveva portato i soldi fuori di rimpatriarli clandestinamente, anonimamente, impunemente e pressoché gratuitamente (il terzo scudo passò anche grazie alle assenze di 59 deputati Pd). Anche il presidente della Repubblica è cambiato, anche se per un’altra curiosa combinazione si chiama esattamente come quello che promulgò il terzo scudo e, quando un cittadino lo fermò per la strada e gli domandò il perché di quella firma vergognosa, lo redarguì severamente.C’è poi un’ultima, prodigiosa coincidenza: un certo S. B. fra quattro giorni comparirà al processo Mediaset in Cassazione dopo la condanna in primo e secondo grado a 4 anni per frode fiscale. I giudici d’appello hanno sottolineato il suo indefesso impegno antievasione: “Con una strategia originata in anni in cui Silvio Berlusconi era incontestabilmente il gestore diretto di tutte le attività, il gruppo Fininvest, e più precisamente il suo fondatore e dominus, con l’aiuto dell’avvocato Mills ha costituito una galassia di società estere, alcune delle quali occulte, che occulte dovevano restare, tanto da corrompere la Guardia di Finanza che rischiava di scoprirle. Anche perché parte di tali fondi era utilizzata per scopi illeciti: dal finanziamento occulto di uomini politici alla corruzione di inquirenti, dalla corresponsione di somme a testi reticenti alla elusione della normativa italiana (specie della legge Mammì che dettava limiti al possesso di reti tv)”. In quel sistema, “interponendo fra le major statunitensi e il gruppo Fininvest-Mediaset una serie di società estere che operavano adeguati ricarichi nella compravendita dei diritti” tv, furono “creati costi fittizi destinati a diminuire gli utili del gruppo e quindi le imposte da versare all’erario”. E dire che quei diritti “Mediaset avrebbe potuto averli al costo a cui le majors li vendevano”: invece B. mise in mezzo una miriade di intermediari “vicini, anche personalmente, al proprietario della società, Berlusconi”. Risultato: i diritti tv “pervenivano a Mediaset con un differenziale di prezzo altissimo e del tutto ingiustificato, in una operatività proseguita per anni, sempre a opera degli stessi uomini che sempre avevano mantenuto la fiducia del proprietario”. Niente attenuanti generiche per B., colpevole di “un sistema di società e conti esteri portato avanti per molti anni, proseguito nonostante i ruoli pubblici assunti, e condotto in posizione di assoluto vertice”. La condanna riguarda 7,3 milioni di euro, ma solo perché il grosso delle accuse s’è prescritto grazie a leggi fatte dallo stesso imputato (falso in bilancio e Cirielli): il totale delle “maggiorazioni di costo” è di “368 milioni di dollari”. Quando il Letta nipote ha ammonito “gli italiani che han portato i soldi fuori dall’Italia”, a B. devono essere fischiate le orecchie. Qualcuno ha addirittura temuto un duro attacco del premier al principale di suo zio. Ma è stato un attimo: poi Fassina ha spiegato che “esiste un’evasione di sopravvivenza”, dettata da “ragioni profonde e strutturali che spingono molti soggetti a comportamenti di cui farebbero volentieri a meno”. Ecco, risolto il problema: B. evadeva per sopravvivere. E Fassina spara cazzate per lo stesso motivo. Che s’ha da fa’, per campa’.

venerdì 19 luglio 2013

Taci, il kazako ti ascolta - Marco Travaglio - Il F.Q. 19/07/2013

“Perché non parli?”, avevano domandato a Napolitano il Fatto e Gustavo Zagrebelsky. E ieri Napolitano ha parlato. Solo che non l’ha fatto per difendere l’onore del Parlamento, preso in giro da un vicepremier ridicolo e bugiardo. Né per tutelare l’immagine del Quirinale, unica istituzione (secondo noi a torto) ancora apprezzata dalla maggioranza degli italiani. Né per garantire la dignità dell’Italia, prostituita da B. e dai suoi servi ai peggiori tiranni di mezzo mondo e ridotta a provincia del Kazakistan. L’ha fatto – alla cerimonia del Ventaglio, che già fa aria da sé – per assolvere Alfano, il mandante e i complici; per apporre il timbro sulle sue tragicomiche bugie; e soprattutto per dare ordini al Parlamento, ai partiti, alle correnti e alla stampa, esortata – come già sugli scandali sessuali di B. e sul caso Montepaschi – ad autoimbavagliarsi per carità di patria. Il tutto con la scusa che bisogna tenere in piedi il governicchio Nipote, peraltro sostenuto dalla più ampia maggioranza mai vista. Mai, neppure nel lungo regno di Giorgio I, si era smantellata così sistematicamente la Costituzione come nel Supermonito di ieri, a colpi di congiuntivi esortativi d’irresistibile comicità involontaria: “si eviti”, “non ci si avventuri, “si sgombri il terreno”. 1) “Non ci si avventuri a creare vuoti e staccare spine”. Ma in Parlamento nessuno tenta di rovesciare il governo. Non esistono contro di esso mozioni di sfiducia. Ce n’è una individuale di M5S e Sel contro il cosiddetto ministro Alfano, destinata all’insuccesso anche se fosse affiancata da una dei renziani (peraltro subito rientrati all’ovile dopo il Supermonito). Ma, anche se fosse approvata, se ne andrebbe Alfano, non il governo: non sarebbe la prima né l’ultima volta che un ministro incapace viene sostituito (di solito da un altro incapace). E non spetta al Presidente della Repubblica decidere se, quando e chi debba sfiduciare governi o ministri. 2) “Il governo in due mesi e mezzo s’è guadagnato riconoscimenti e apprezzamenti per la sua capacità di iniziativa e di proposta”. E da chi, di grazia: dai bradipi e dalle talpe? E quali iniziative, visto che il governo delle larghe attese non fa che rinviare i problemi (Imu, Iva, Irap, F-35, Porcellum ecc.)? 3) “Si sgombri il terreno da sovrapposizioni improprie tra vicende giudiziarie dell’on. Berlusconi e prospettive di vita dell’eventuale governo”. A parte la perfetta definizione di “eventuale governo”, che significa “sovrapposizioni improprie”? Se i giudici accertano B. è un evasore, concussore e utilizzatore di prostitute minorenni, la maggioranza dev’esserne orgogliosa? 4) “Una storia inaudita, una precipitosa espulsione in base a una reticente e distorsiva rappresentazione e a pressioni e interferenze inammissibili di diplomatici stranieri”. Ora sta’ a vedere che la colpa è dei kazaki che interferiscono e non del governo che li lascia interferire. 5) “Il governo ha opportunamente deciso di sanzionare funzionari che hanno assunto decisioni non sottoposte al vaglio dell’autorità politica. Per i ministri è assai delicato e azzardato evocare responsabilità oggettive”. Ma qui nessuno evoca responsabilità oggettive (che valgono solo nella giustizia sportiva). Semmai politiche, come da art. 95 della Costituzione: “I ministri sono responsabili… individualmente degli atti dei loro dicasteri”. O è abolito pure quello perché dà torto ad Alfano e noia a Re Giorgio? 6) “Il richiamo alle responsabilità del momento si rivolge anche alla stampa, perché la sollecitazione e l’amplificazione mediatica influenza molto parole e comportamenti dei politici”. Ma in base a quale potere costituzionale il capo dello Stato impartisce direttive alla stampa perché tradisca la sua missione di fare domande e dare notizie? Viene quasi nostalgia del Minculpop, che almeno le veline ai giornali le passava con più discrezione. E comunque tutti sapevano di vivere sotto una dittatura. Oggi la democrazia muore, ma a nostra insaputa.

giovedì 18 luglio 2013

Al di sotto di ogni sospetto - Marco Travaglio - Il F.Q. 18/07/2013

Non c’è analisi politica o sentenza giudiziaria che descriva la nostra classe dirigente meglio di un detto napoletano: “Fa il fesso per non andare in guerra”. Si riferisce all’usanza di fingersi scemi alla visita di leva per essere riformati. Poi, naturalmente, capitava che qualcuno venisse riformato perché era scemo davvero. Ecco, noi non sappiamo quanti politici o imprenditori o manager o funzionari o alti ufficiali siano scemi e quanti fingano di esserlo. Ma prendiamo atto che molti, moltissimi, fanno di tutto per sembrarlo. E, va detto a loro onore, ci riescono benissimo. L’altra sera Angelino Alfano, nientemeno che segretario del Pdl, vicepremier e ministro dell’Interno, doveva essere davvero orgoglioso della sua performance davanti al Senato e poi alla Camera, quando leggeva solenne e ieratico il rapporto Pansa che gli faceva fare la figura del fesso, tra un “aperte virgolette”, un “chiuse le virgolette” e un “aperte e chiuse le virgolette all’interno del virgolettato”. Manco si rendeva conto di essere la parodia di Alberto Sordi che, nel film Il vedovo, ripassa con i complici il piano per far precipitare la moglie nella tromba dell’ascensore, nella quale alla fine sprofonderà lui (“Volta foglio! Proseguiamo: paragrafo 21, volta pagina! Alt!”). Ora c’è pure il Procaccini espiatorio che racconta: fu il ministro a chiedermi di incontrare l’ambasciatore kazako e, dopo, gli riferii le sue richieste. Ma il premier Nipote non sente ragioni: “Alfano è totalmente estraneo”, dunque resta al suon posto. In fondo è per questo che andiamo a votare: perché venga fuori una maggioranza che esprima un governo che nomini dei ministri che non sappiano una mazza di quel che avviene nel loro ministero. Totalmente estranei. Sono lì apposta: per non sapere nulla. Dunque Jolie è assolto – si dice in linguaggio penalistico – per totale incapacità di intendere e volere. Di solito, il passo successivo è il ricovero in un’apposita comunità di recupero. Ma pure il governo può andar bene. Lo stesso dicasi per i politici Prima e Seconda Repubblica, destra e sinistra, che fino all’altroieri han fatto affari con Ligresti: chi l’avrebbe mai detto che era un poco di buono. In fondo don Salvatore già vent’anni fa entrava e usciva dalle patrie galere. In fondo le sue aziende colavano a picco da anni mentre i compensi della famiglia lievitavano (nel 2008-2010, 9 milioni a Jonella più laurea honoris causa all’Università di Torino in Economia aziendale, e in cosa se no?; 10 a Gioacchino Paolo; 3,4 a Giulia; 8 al manager Talarico; 15 al manager Marchionni). Chi l’avrebbe mai detto che sarebbe tornato al gabbio. Pareva una così brava persona. E Tronchetti Provera? Sono sei anni che tutti sanno dello spionaggio ordito dalla Security Telecom del fedelissimo Tavaroli nell’ufficio accanto al suo, e tutti a domandarsi: chissà mai se Tronchetti lo sapeva. Qualcuno si sbilanciò a ribattezzarlo Tronchetti Dov’Era. Poi ieri arriva una sentenza, di primo grado per carità: forse sapeva. In un paese decente si leverebbe un coro di giubilo (anche da lui): meno male, vuol dire che almeno era un buon capo. Invece no. La comunità finanziaria è sgomenta: ma come, un top manager che sa qualcosa di quanto accade nella sua azienda? Dove andremo a finire. Quel che è certo invece da ieri – in attesa delle motivazioni – è che il generale Mori era sì un grande detective antimafia. Però prima catturava un boss e non gli perquisiva il covo; poi l’altro boss non lo catturava proprio. Ma sempre in buona fede (il fatto non costituisce reato: cioè è vero, ma senza dolo). Mica voleva favorire la mafia: semmai lo Stato, ammesso e che ci sia qualche differenza. Anche lui agiva a sua insaputa, mirabile emblema di una classe dirigente al di sotto di ogni sospetto. Alla fine però chi fa il fesso è furbo. Il vero fesso – scriveva Giuseppe Prezzolini – “è stupido. Se non fosse stupido avrebbe cacciato via i furbi da parecchio tempo”.

sabato 13 luglio 2013

Mediaset Premier - Marco Travaglio - Il F.Q. 13/7/2013

Ingiustamente sputacchiati dalla piazza, i partiti sanno ancora regalarci momenti di autentica leggenda. Quelli del Pdl tremano al pensiero di essere guidati, dal 1° agosto, da un evasore fiscale che li riceve a casa sua e non può mettere piede in Parlamento. E non s’accorgono che è esattamente quel che accade da vent’anni.
Intanto il Pd, da quando ha deciso di liberarsi del complesso di B., va in mille pezzi a causa di un processo a B., mentre nel partito di B. non si muove foglia. Siccome poi i Democratici sono dei geni, lanciano la nuova campagna di tesseramento proprio nel giorno in cui i loro elettori vorrebbero impalarli per la chiusura delle Camere in segno di lutto nazionale per il processo a B. Col risultato di perdere anche i pochi tesserati superstiti e di prendersi pure carrettate di insulti via web. Specie da quando s’è scoperto che chi s’iscrive al Pd riceverà pure, come pena accessoria, l’abbonamento gratuito all’Unità: un accanimento davvero impietoso contro quella brava gente. Ma c’è qualcosa di ancor più comico dei due partiti: i giornali dei due partiti, anzi del partito unico Pdmenoellepiùelle. Sull’Unità, il direttore Sardo spiega che, siccome chi s’iscrive al Pd si abbona automaticamente all’Unità con la formula delle televendite con batteria di pentole antiaderenti
in omaggio, questa è la prova che “gli organi di partito non esistono più” e dunque l’Unità non lo è più (però i soldi pubblici come giornale di partito continua a prenderli). E, per elettrizzare vieppiù i lettori rimasti, Macaluso spiega: “Che il gruppo parlamentare Pdl abbia chiesto una sospensione della seduta della Camera per dare sfogo a sentimenti e risentimenti in un partito che si identifica in una persona che rischia di non poter più mettere piede in Parlamento, è comprensibile”. A questo punto, scavalcati a destra, gli house organ Pdl devono inventarsi qualcosa di più hard. E naturalmente ci riescono: dalla leccata al padrone passano a leccare i leccatori del padrone. Un cunnilingus al cubo. Sul Foglio, lunga slinguata a Sallusti: “Come sono diventato un Pitone” (nel senso di fidanzato della Pitonessa Santanchè). Affetto da encefalite letargica volontaria, il Sallusti fa di tutto per rimuovere la sua precedente vita di giornalista in un giornale vero, il Corriere. E si flagella per aver partecipato alla pubblicazione “dell’avviso di garanzia che fece cadere il primo governo Berlusconi” nel '94 (era un invito a comparire e non fece cadere nessun governo, rovesciato da
Bossi contro la riforma delle pensioni). S’è persino fatto l’idea che il Corriere sia “di sinistra” e “organo della Procura di Milano”, a sua volta in mano al “Pci” (che non esisteva più da 5 anni): ma “ero giovane, non avevo gli strumenti per capire” (aveva solo 37 anni: un bebè), mentre “Mieli capiva benissimo”. Ma ora “sono rinsavito”. Anche se non rinuncia ad attaccare brutalmente il Cainano, osando l’inosabile. Una volta, per dire, B. lo chiamò inferocito al Giornale: “Avete scritto che non so nuotare, è un’infamia, non è vero!”. Del resto basta leggerlo, il suo Giornale, per respirarvi subito una balsamica aria di libertà. Esempio: il commissario Zuzzurlo elogia un grande giornalista che l’altra sera a Ballarò “ha fatto un ragionamento” e, udite udite, “ha messo in fila i fatti” inchiodando Mieli alla terribile realtà: “Il Corriere è la voce delle Procure” (Ostellino, Battista, Galli della Loggia, Panebianco: tutti portavoce dei pm). E chi è l’eroe? Ma il Pitone, naturalmente: il direttore del commissario Zuzzurlo. In un’altra pagina tal Massimiliano Parente scrive: “Il Fatto Quotidiano è il Porno Quotidiano e Travaglio lo Schicchi del giornalismo. Per cui la Boccassini sarebbe una grandissima regista porno”. Lo portano via. Ps. Su Libero è partita la grande campagna per
graziare il Cainano: “Ci sta anche Letta: Napolitano gli ha prospettato la soluzione estrema per salvare il governo e il premier ha preso atto”. È l’ultima offerta speciale Mediaset Premier.

domenica 30 giugno 2013

Il padre prostituente - Marco Travaglio - il F.Q. 30/06/2013.

Se tutto va male, a fine luglio la maggioranza indecente che sgoverna l’Italia imporrà a tappe forzate la modifica dei regolamenti parlamentari per aggirare l’articolo 138 della Costituzione e appaltare in esclusiva a un ristretto club di 20 deputati e 20 senatori del Pd, del Pdl e di Scelta civica (nessuno di M5S e Sel, cioè dell’opposizione) la riforma della Costituzione che poi il Parlamento non potrà neppure emendare, ma solo approvare o respingere – dunque approvare – alla svelta, senza neppure rispettare gli intervalli temporali previsti dalla Carta. È un golpe legalizzato che i cittadini potranno respingere solo votando No al referendum confermativo, ma occorrerà una grande mobilitazione perché tutti i partiti faranno campagna per il Sì, a parte Grillo e Vendola. Se Pd, Pdl e Scelta civica, alle elezioni di febbraio, avessero avuto i voti per cambiare la Costituzione, se ne potrebbe anche discutere. Invece nessuno di loro ne parlò, dunque nessun elettore li ha votati per quello. L’unica riforma istituzionale che riempiva le bocche dei leader era quella elettorale. Tutti giuravano “mai più Porcellum” e questa fu anche la prima scusa con cui la Trimurti giustificò l’inciucio del governo Letta: fare in fretta le cose più urgenti, legge elettorale ed economia, e tornare alle urne. Invece, quanto alla prima, siccome B. non la vuole, l’hanno prontamente accantonata. Quanto all’economia, le uniche decisioni assunte dal governo più rissoso e inconcludente della storia, sono i rinvii. Rinviata l’Imu, rinviato l’aumento dell’Iva, rinviati gli F-35. La stampa di regime, impermeabile anche al senso del ridicolo, titola ogni giorno su mirabolanti “accordi” per “rinviare” questo o quello. Ma un accordo per rinviare è un ossimoro: gli accordi si fanno sulle soluzioni dei problemi, non sul loro rinvio a data da destinarsi. I comuni denominatori che tengono insieme la Trimurti sono altri due: la paura di votare e l’allergia per la Costituzione. Che infatti si accingono a cambiare, concentrando tutti i poteri sull’esecutivo e smantellando i controlli del legislativo e del giudiziario. I titoli IV e VI della Costituzione, Magistratura e Corte costituzionale, erano stati esclusi dalla legge istitutiva del comitato dei 40. Ma l’altro giorno, dopo le sentenze della Consulta sul legittimo impedimento e del Tribunale di Milano sul caso Ruby, il Pdl ha tentato di infilarceli con un emendamento. Il Pd è insorto, parlando addirittura di “pirateria”, ma era tutta una finta: è bastato che B. minacciasse di scassare tutto perché ieri Lady Inciucio, al secolo Anna Finocchiaro, cedesse su tutta la linea ammettendo sul Corriere che “il problema del coordinamento tecnico con gli articoli del titolo IV e del titolo VI della Costituzione esiste e va affrontato”. Come? Con un emendamento da “formulare insieme”. Del resto il vero padrone del governo, l’unico che potrebbe farlo cadere dall’oggi al domani (e naturalmente lo tiene in piedi per ricattarlo in vista dell’amnistia) e cioè B., fa sapere che “se c’è un settore che ha assolutamente bisogno di una riforma è quello della giustizia”. È vero che il ministro delle Riforme Quagliariello dice il contrario. Ma, fra il fattorino e il titolare della ditta, tutti sanno chi comanda. Si ripete così pari pari il copione della Bicamerale: nella legge istitutiva presentata nel ’96, il capitolo Magistratura era escluso. Poi B. ordinò di inserirlo, minacciò di scassare tutto e D’Alema si calò prontamente le brache. Tant’è che in Bicamerale si parlò quasi solo di quello. Poi, siccome in due anni di lavori non veniva fuori l’amnistia, nel ’98 B. fece saltare il tavolo. Anche perché allora al Quirinale c’era Oscar Luigi Scalfaro, che si batté come un leone contro gli inciuci anti-toghe. Ora invece c’è Napolitano, che li patrocina da tempo immemorabile. E riceve al Quirinale il fresco condannato a 12 anni per frode fiscale, rivelazione di segreti, concussione e prostituzione minorile: il padre prostituente.

sabato 29 giugno 2013

Un ministro da cacciare - Marco Travaglio - Il F.Q. 29/06/2013.

Il governo Letta, in appena due mesi di vita, ha perso per strada prima il sottosegretario (Biancofiore) e poi il ministro (Idem) delle Pari Opportunità. La prima per una scemenza sui gay, la seconda per una serie di pasticci edilizi e fiscali. Ma non è detto che chi resta sia meglio di chi se n’è andato, anzi quando si sente parlare il ministro della Difesa Mario Mauro viene la nostalgia non solo della Idem, ma perfino della Biancofiore. E non solo per le fesserie che continua a dire sugli F-35 (“amare la pace significa armare la pace”). Ma soprattutto quando, non si sa bene a che titolo, parla di giustizia. L’altra sera l’ex berlusconiano ora montiano ma sempre ciellino era ospite di Porta a Porta, comodamente assiso accanto alle neoalleate Paola De Micheli (Pd) e Daniela Santanchè (Pdl: indichiamo i partiti di appartenenza perché ormai è impossibile distinguerli). Il tema erano i processi di B., di cui nessuno degli ospiti sapeva assolutamente nulla, dunque ne parlavano tutti, aiutati da servizi che parevano scritti da Ghedini (uno definiva “mostruoso” il risarcimento inflitto alla Fininvest per avere scippato la Mondadori e confondeva l’attuale valore in Borsa del gruppo di Segrate con quello di un’azienda che da 22 anni dà utili a chi la scippò al legittimo proprietario). Vespa, in pieno conflitto d’interessi in quanto autore Mondadori, sosteneva il suo editore col decisivo argomento che la sentenza sul Lodo – scritta del giudice Vittorio Metta, corrotto da Previti con soldi Fininvest – è regolare perché gli altri due giudici che non la scrissero non furono corrotti (Previti, si sa, ha il braccino corto e lascia sempre le cose a metà). Mauro la chiama “leale collaborazione fra poteri”: o la magistratura collabora insabbiando i reati dei politici, oppure restituiamo ai politici la licenza di delinquere. Altrimenti “facciamo del male al Paese e ogni cittadino, anche il più fragile, urla il suo sdegno perché non si sente certo nelle mani della nostra giustizia”. Senza contare che rischiamo “di non entrare in Europa”: non perché abbiamo il record europeo di corruzione, evasione e mafia, ma perché i magistrati perseguono politici corrotti, evasori e mafiosi. A quelle parole deliranti c’era magari da attendersi qualche pigolio della De Micheli (che però s’è appena sposata col paggetto Confalonieri a reggerle il velo). Invece niente, tant’è che Mauro e la Santanchè si felicitavano per la rocciosa “coesione della maggioranza sulla giustizia”. Mauro concludeva che “in questi anni la giustizia è stata spesso subordinata alla lotta politica”. Amen. Ora, che un vecchio sodale di galantuomini come B. e Formigoni la pensi così, è più che comprensibile. Ma, siccome rappresenta il governo, delle due l’una: o il premier Letta (Enrico) condivide i suoi deliri sul ritorno all’immunità, e allora dovrebbe confessare i patti occulti che ancora non ci ha detto; oppure non li condivide, e allora sarebbe cosa buona e giusta se prendesse il suo ministro e lo accompagnasse alla porta. Completavano il quadro il solito inutile vendoliano, tale Stefano, che vorrebbe “separare la vicende giudiziarie da quelle politiche” e Massimo Franco del Corriere , “sconcertato perché il risarcimento deciso dal tribunale è diverso da quello deciso in appello e da quello chiesto dal Pg della Cassazione e perché il Tribunale ha condannato B. nel caso Ruby a una pena superiore a quella chiesta dai pm” (a suo avviso i tre gradi di giudizio servono a fotocopiare tre volte le richieste dei pm, così poi i Franco accusano i magistrati di corporativismo e i giudici di appiattirsi sui pm e chiedono la separazione delle carriere). A quel punto toccava al cosiddetto ministro Mauro dare un po’ d’aria alla bocca: “Io non credo al racconto criminale della vita di eminenti uomini politici, da Andreotti a Berlusconi”. Cioè lui non riconosce le sentenze definitive che dichiarano Andreotti mafioso fino al 1980 e B. corruttore di giudici e testimoni, falsificatore di bilanci e frodatore fiscale, nonché falso testimone sulla P2 e finanziatore illegale di Craxi, capo di un’azienda che compra finanzieri e accumula fondi neri, né tantomeno a quelle provvisorie sulla Puttanopoli di Arcore. Poi passava direttamente alle bugie: “Mi chiedo perché tutte le vicende giudiziarie di B. sono nate nel 1994 dopo che entrò in politica”. Naturalmente non è vero niente, anzi è vero l’opposto: già processato per falsa testimonianza nel 1989 e salvato dall’amnistia, B. e il suo gruppo furono oggetto di indagini a Milano fin dal ’92 e proprio per scamparvi (oltreché per salvarsi dai debiti e dal fallimento) il Cavaliere entrò in politica nel ’94. Infine il ministro Mauro impartiva agli astanti un’imperdibile lezione di diritto costituzionale: “Se il problema è l’equilibrio dei poteri, tirar fuori questo Paese dal guado, discutere un diverso modello costituzionale, come possiamo pensare che sia privo di equilibrio sul tema giustizia?”. E per lui l’equilibrio fra i poteri si conquista con l’“immunità parlamentare”, che merita “un’appassionata difesa”: infatti ha scoperto che “i padri costituenti diedero la “totale indipendenza alla magistratura perché l’Italia usciva dal fascismo”, ma oggi bisogna “garantire anche la politica”, rendendola immune da indagini.

lunedì 17 giugno 2013

Palmiro Prospero, maestro di libertà - Marco Travaglio - Il F.Q. 17/06/2013.

Un volgare articolo di Michele Prospero sulla fu Unità, intitolato “Travaglio, il ‘giornalismo servo’ contro i ribelli M5S”, ci dà l’occasione per fare il punto sul Fatto Quotidiano e sullo stato dell’informazione e del potere in Italia. Fin da quando siamo nati, a chi ci domandava quale fosse la nostra “linea politica”, abbiamo risposto: la Costituzione. In un sistema informativo disegnato a immagine e somiglianza di quello politico-partitico, fu come bestemmiare in Chiesa. Non avendo altro padrone che i lettori, il Fatto risponde soltanto a loro e alla coscienza dei suoi giornalisti. Per questo non ha mai taciuto una notizia, anzi ne ha date molte che gli altri tacevano. Ha preso e prende posizione, certo, ci mancherebbe: la sua posizione, non quella di altri, che non ha il piacere di conoscere. Abbiamo le nostre idee, ben chiare e radicate, e in base a quelle giudichiamo ciò che accade. Chi fa proprie le nostre posizioni e battaglie ci piace. Chi va in altre direzioni non ci piace. La nostra intransigenza sulla legalità (non solo penale, ma anche costituzionale e contro tutti i conflitti d’interessi) e sul rinnovamento della politica ci ha portati ad apprezzare molte battaglie prima di Di Pietro, poi di Ingroia e del Movimento di Grillo. Ma anche a rimpiangere lo spirito dell’Ulivo modello 1996, poi tradito dai partiti che avrebbero dovuto farsene portavoce. E a sostenere i cani sciolti del Pd e i movimenti di base tipo OccupyPd che contestano l’inciucismo dei vertici. Questo non ci ha impedito di criticare le sciagurate scelte di classe dirigente da parte di Di Pietro, la frettolosa e improvvisata entrata in politica di Ingroia, certe sparate di Grillo con annesso deficit di democrazia interna al M5S. Anche a destra, quando si muoveva qualcosa di interessante, tipo il coraggioso distacco di Fini e dei suoi dalla Banda B., l’abbiamo guardato con simpatia (Flavia Perina scrive spesso sul Fatto ), senza però rinunciare a denunciare il grumo di interessi che, al netto delle calunnie berlusconiane, si celava dietro il “caso Montecarlo”. Siamo fatti così: non più bravi degli altri, solo più fortunati perchè più liberi. Quando sbagliamo, lo facciamo da soli, non per conto terzi. E, quando ci alziamo la mattina, non sappiamo mai a chi daremo ragione o torto: dipende da quel che succede. Purtroppo sono pochi i giornali e le tv che possono dire onestamente altrettanto. Il nostro sistema mediatico ricorda il feudalesimo: il tal giornale fa gli interessi di questo o quel partito perchè gli appartiene o ne riceve fondi pubblici; o fa il gioco della tal banca o azienda o lobby ben accomodata nella stanza dell’editore, ovviamente impuro. Se qualcuno, restando serio, può accusarci di essere al soldo di Grillo e Casaleggio è perchè giudichiamo i 5Stelle senza pregiudiziali, apprezzandone le giuste battaglie e criticandone le magagne, mentre tutti gli altri giornali, a parte rarissime eccezioni, li attaccano sempre e comunque nell’interesse dei loro editori, cioè dei padroni dell’economia e della finanza e dunque della politica, e non possono tollerare la presenza in Parlamento di un gruppo (diciamo pure un’Armata Brancaleone) di ragazzi che non rubano e non mafiano (non ancora, perlomeno, non che si sappia) e dunque non sono controllabili perchè non ricattabili. Così in campagna elettorale i 5Stelle erano un branco di eversori. Poi, quando vinsero le elezioni e lorsignori speravano che facessero da stampella al governo Bersani, divennero quasi buoni. Poi, quando si capì che manipolarli era più difficile del previsto, iniziò il giochetto che dura tuttora (con la complicità di alcuni di loro, non si sa se troppo fessi o troppo furbi): il tentativo di staccarli non tanto da Grillo, ma dai loro elettori e dal loro programma, per convertirne una parte al Sistema. Basta che dicano qualcosa contro Grillo o a favore dei partiti perchè da “signori nessuno” pericolosi per la democrazia diventino i nuovi Sacharov e Solgenitsin. Il fatto che in campagna elettorale si fossero solennemente impegnati a decurtarsi gli emolumenti e soprattutto a non allearsi con alcun partito per ottenere i loro obiettivi (alcuni sacrosanti, altri inattuabili, altri demenziali) e fossero stati votati proprio (e solo) per questo, non conta. Anzi, assistiamo al paradosso che il Pd e il Pdl che hanno tradito gli elettori scilipotizzandosi, cioè governando insieme dopo aver giurato in campagna elettorale di essere irriducibilmente alternativi e incompatibili, danno lezioni di coerenza all’unico movimento (con Sel) fedele agli impegni: chi vuol tradire la parola data agli elettori diventa santo, chi vuole mantenerla è un mascalzone. E se qualcuno ricorda cosa diceva il Pd di Razzi e Scilipoti quando passarono al Pdl, o il Pdl di Follini quando passò al Pd e di Fini quando sfiduciò B., è un servo di Grillo e Casaleggio. Se in questi vent’anni stampa e tv avessero trattato i partiti che hanno devastato l’Italia con un decimo dell’acrimonia che applicano ai 5Stelle, la Seconda Repubblica sarebbe morta da tempo senza fare i danni che ha fatto. E forse M5S non avrebbe ragione di esistere: Grillo farebbe ancora il comico, guadagnando dai suoi show il triplo di quel che guadagna da quando fa politica. Ma questi ragionamenti di semplice buonsenso Michele Prospero non se li può permettere: sull’Unità si guadagna la pagnotta falsificando ciò che ho scritto l’altroieri, quando invitavo il “Movimento 5 Polli” (titolo dettato da Casaleggio) a piantarla con le batracomiomachie autoreferenziali sulle espulsioni e a fare “conferenze stampa e iniziative di piazza per denunciare le porcate che scoprono in quell’ente inutile che ormai è il Parlamento”, tipo “l’esproprio delle Camere per blindare la controriforma costituzionale” e “la presa in giro su Imu e Iva”. Il mio invito all’opposizione a opporsi diventa, nel taglia-e-cuci di Prospero, “santificazione” di M5S e “ordine di insurrezione” di stampo fascista “contro ‘quell’ente inutile che è il Parlamento’” con un “sospetto automatismo” verso “l’aula sorda e non più grigia, ma comunque inutile” di Mussolini. Del resto “Travaglio nel 1994 accarezzò la Lega” e ora “punta sul M5S… garante del buon mondo antico presidiato dal grato Cavaliere”. Ora – a parte il fatto che il garante del grato Cavaliere è il Pd che ci governa insieme e che la Lega rovesciò il primo governo Berlusconi, poi resuscitato dagli amici di Prospero con la Bicamerale – io non so dove fosse questo falsario nel ’94. Ma so bene dov’ero io: in un comodissimo posto al Giornale di Montanelli, che lasciai con il direttore e 50 redattori per l’avventura de La Voce, sabotata da tutti e chiusa dopo un anno perchè si opponeva da posizioni liberali al governo B.-Lega. Nel 2001, da vero criptoberlusconiano, fui il primo giornalista a denunciare in Rai (Satyricon di Daniele Luttazzi) i rapporti fra la mafia, Dell’Utri e B. che nel 2001 – molto grato – mi fece cacciare da tutte le tv con l’editto bulgaro, mentre le spie del Sismi e della Security Telecom accumulavano dossier illeciti sul mio conto e il grato Cavaliere e i suoi sgherri mi denunciavano in tutti i tribunali d’Italia per milioni di danni. E fui accolto all’Unità, quella vera, rifondata come giornale libero e non di partito da Colombo e Padellaro, che infatti combatteva contro B., la Lega e gli inciucisti del centrosinistra che demonizzavano i girotondi e la Cgil di Cofferati. Se il signor Prospero oggi ha un giornaletto su cui scrivere dovrebbe ringraziare chi 12 anni fa lo resuscitò, dopo che i suoi amici l’avevano ammazzato mettendo in fuga i lettori. Naturalmente non lo farà: di recente ha additato al Pd come modello da seguire non Enrico Berlinguer, ma Palmiro Togliatti. Un sincero democratico che i dissidenti non li attaccava sul blog: li lasciava semplicemente crepare nei gulag dell’amico Stalin o, se erano anarchici o trotskisti, perseguitare e ammazzare in Spagna. Ecco, magari le lezioni di libertà e democrazia Prospero ce le dà in un’altra vita.

Interessi sì, conflitto può darsi - Marco Travaglio

Carta Canta - l'Espresso, 14 giugno 2013

Fanno quasi tenerezza, Enrico Letta e Anna Finocchiaro,quando parlano di una nuova legge controi conflitti d'interessi. Letta la annuncia addirittura come una delle missiondel suo governo. La Finocchiaro invece la evoca per indorare la pilloladell'ennesima conversione del Pd sulla via di Arcore, ovviamente all'insaputadegli elettori superstiti: quella sul presidenzialismo (come se i conflittid'interessi fossero un guaio nelle repubbliche presidenziali e manna dal cieloin quelle parlamentari). Eppure sanno benissimo entrambi che, nel momentostesso in cui il Pd ha deciso di fare il governo con Berlusconi, si è preclusoqualunque possibilità di combattere conflitti d'interessi, posizioni dominanti sul mercato,incompatibilità, ineleggibilità, corruzione, evasione fiscale, economiaclandestina (che poi sono i motivi principali della crescita sottozerodell'Italia, ma anche le ragioni sociali del Cavaliere politico). Tantovarrebbe fare un bagno di sincerità e ammetterlo senza tante bugie, evitando disuscitare aspettative inutili che diventeranno dannose quando si trasformerannonelle ennesime disillusioni.

Ma è un'ulteriore bugia che l'unico ostacolo a unaseria normativa contro i conflitti d'interessi stia ad Arcore. E il caso DeLuca? E il caso Bondi? Vincenzo De Luca è da tempo immemorabile (con qualcheintervallo parlamentare) il sindaco-padrone di Salerno, prima per i Ds ora peril Pd. Lasciamo perdere i tre o quattro processi che ha sul groppone con accusegravissime, praticamente tutti i reati contro la Pubblica Amministrazione. Ledue cariche di sindaco e viceministro alle Infrastrutture sono incompatibiliper legge (scritta da Berlusconi, cioè coi piedi), ma soprattutto per motivioggettivi: da sindaco, De Luca patrocina il progetto della metropolitana dellasua città (un'eterna incompiuta e, viste le dimensioni di Salerno, un'operainutile e costosa che in 16 anni s'è già mangiata la bellezza di 55 milioni);da viceministro, ne è il controllore. Tant'è che ha già convocato imprese,Comune e Regione Campania per un vertice al Ministero. Quando toccherà alComune, si porrà stringenti quesiti in veste di viceministro e poi, saltellandodall'altro capo del tavolo, si risponderà da sindaco con argomenti certamenteconvincenti, almeno per il viceministro. Che, per pura combinazione, è semprelui. E' il replay di una scena già vista alcuni anni fa quando De Luca,commissario speciale del governo Berlusconi, convocò se stesso in qualità disindaco per discutere del termovalorizzatore. Perfetta identità di vedute.

Letta, o Finocchiaro,o il Pd, insomma qualcuno ha intenzione di porre ilproblema del suo plateale conflitto d'interessi? Non c'è nemmeno bisogno di unalegge: basta il buon senso. Ma a Salerno gli unici appassionati al tema sembranoessere i 5Stelle, che insistono per le sue dimissioni da primo cittadino. IlPdl fa orecchi da mercante. Così come fa il Pd sull'ineleggibilità di Berlusconi. Una mano (sporca) lava l'altra. Il caso Bondi, nel senso di Enrico,è un'altra apoteosi del “non voglio e non posso” del governo. Sorvoliamo sul suorinvio a giudizio per falsa testimonianza nell'inchiesta sugli spioni Telecom.In febbraio, da qualche mese consulente del governo Monti per la spendingreview, Bondi dona 100 mila euro nella lista Monti. In aprile i Riva, di cui èda anni consulente, lo ingaggiano come amministratore delegato dell'Ilva diTaranto, finita sotto sequestro per i suoi gas venefici. Il governo Monti leconcede di proseguire l'attività con la nuova autorizzazione Aia che, supressione dei giudici, impone stringenti prescrizioni per la bonifica degliimpianti. L'Ilva ne aggira un bel po' e i giudici la sgamano di nuovo. Bondi sidimette da ad per protesta. Il governo, appoggiato dalla lista Monti,estromette per un po' i Riva dalla gestione e, all'insegna della discontinuità,nomina commissario chi? Bondi, che cambia semplicemente stanza, incaricato difare da commissario ciò che non ha fatto da consulente e da ad. Poi naturalmentetutti a scrivere la nuova legge contro il conflitto d'interessi. Titolo:“Esclusi i presenti”.

sabato 15 giugno 2013

Movimento 5 Polli - Marco Travaglio - Il F.Q. 15/06/2013.

Che fa il maggior gruppo di opposizione (diciamo pure quasi l’unico) mentre il governo-inciucio Berlusconi-Letta mostra già la corda e manifesta tutta la sua prevedibilissima impotenza? È quello che si domandano molti italiani, soprattutto quelli che han votato 5Stelle contro i partiti che si sono mangiati l’Italia. Sappiamo bene che i neoeletti stanno imparando il mestiere di parlamentari; hanno presentato una ventina di disegni di legge e altri ne stanno preparando; le loro presenze in aula e in commissione superano largamente quelle degli altri gruppi; hanno rinunciato (unici nella storia) al finanziamento pubblico di 42 milioni di euro; hanno avviato (unici nella storia) le pratiche per dichiarare ineleggibile B.; han fatto approvare una mozione per consentire a chi avanza crediti dallo Stato di scalarli dalle caselle esattoriali; hanno appoggiato la proposta del Pd Giachetti per tornare al Mattarellum, ovviamente sabotata dal partito unico Pd-Pdl-Monti; hanno contestato assieme a Sel il golpetto del governo in Senato per aggirare l’articolo 138 della Costituzione.Ma tutto questo i milioni di italiani che s’informano (si fa per dire) dai camerieri del potere non lo sanno. Da quando gli usurpatori hanno osato metter piede nel Palazzo, le guardie del corpo dei partiti e dei loro padroni dipingono M5S come un covo d’incompetenti sfaccendati e teleguidati che passano il tempo a litigare, epurare, espellere, o a parlare di scontrini, mentre Grillo e Casaleggio fanno soldi a palate. Contro il giornalismo servo si posson fare due cose: seguitare a imprecare al destino cinico e baro, o bypassarlo parlando direttamente ai cittadini e portando fuori dal Parlamento ciò che avviene dentro. Ma, per farlo, bisogna conoscere il sistema e usarlo, anziché farsene usare. Dopo quattro mesi di inseguimenti di pennivendoli assatanati che a marzo chiedevano “la votate la fiducia a Bersani?”, ad aprile “Grillo sbaglia a insistere su Rodotà?”, a maggio “restituirete la diaria?”, a giugno “che ne sarà della povera Gambaro?”, dovrebbe essere chiaro a tutti che a stampa e tv non frega nulla di quel che fanno i 5Stelle: solo sputtanarli (si è addirittura introdotta in politica la categoria dell’“antipatia” per squalificare Crimi e la Lombardi, mentre i vecchi politici – com’è noto – sono tutti simpaticoni) e trovarne qualcuno che parli male di Grillo e bene di Napolitano, Letta e Alfano. E intanto magnificare con titoloni-pompa il governo del nulla, rilanciare le promesse dei ministri che evaporano dopo due minuti, esaltare i moniti del Presidente (ormai un rumore di fondo), celebrare le mirabolanti imprese dei suoi saggi prostatici: pennellate di lingua a base di “task force”, “road map”, “cronoprogrammi”, “grandi riforme”, Tizio “spinge”, Caio “accelera”, Sempronio “frena”. Mai come ora, con un governo che manda a casa i condannati fino a 6 anni (praticamente tutti, a parte i serial killer), espropria le Camere per blindare la controriforma costituzionale, ci prende in giro su Imu e Iva, c’è bisogno di un’opposizione che si faccia vedere e sentire. Chi non vi è portato, come la furbona che ha scoperto improvvisamente che il guaio dei 5Stelle è Grillo o quell’altro genio che s’è iscritto al M5S per andare dalla D’Urso o i “dissidenti” sul nobile ideale della diaria, va semplicemente ignorato, o liquidato con una battuta, o affidato a un collegio di probiviri che faccia rispettare le regole (come nei partiti, che espellono centinaia di persone senza che nessuno se ne accorga). Le scomuniche di Grillo e le riunioni-fiume dei gruppi sono proprio ciò che vuole la grande stampa, sempre a caccia di armi di distrazione di massa. Invece di perder tempo dietro le Gambaro, i capigruppo convochino conferenze stampa e iniziative di piazza per spiegare le porcate che scoprono in quell’ente inutile che ormai è il Parlamento, e come intendono contrastarle. Altrimenti sono più inutili del Parlamento.

venerdì 14 giugno 2013

Sotto la pancia la balla campa - Marco Travaglio - Il F.Q. 14/06/2013.

Osservando Giuliano Ferrara in tv o dal vivo, sorge sempre una curiosità: che mestiere farebbe in un paese normale? Leggendolo invece sul suo foglietto clandestino, lautamente foraggiato dai contribuenti e dalla famiglia B., la domanda è un’altra: che mestiere fa in Italia? I sottopancia televisivi (molto sotto e molto pancia) lo qualificano per comodità come “giornalista”, non essendovi spazio per aggiungere funzionario del Pci, consigliere comunale a Torino, manganellatore di lottatori continui (forse l’attività meno inutile della sua esistenza), raccomandato del Psi, europarlamentare assenteista, conduttore tv che usciva la sera da un cassonetto della monnezza, spia della Cia, ministro berlusconiano, candidato al Mugello spappolato da Di Pietro, fondatore di un giornale all’insaputa dei lettori, direttore di Panorama con crollo di vendite incorporato, conduttore di Radio Londra all’insaputa dei telespettatori, leader del partito NoAborto all’insaputa degli elettori, desertificatore di edicole, di share e di urne, indossatore di parrucche rosse à la Boccassinì per gare di burlesque online, rapper di superpompe a Mario Monti, bevitore e spacciatore delle più variopinte panzane raccontate dal suo signore e padrone: e tutto questo per tacere i suoi difetti. L’altra sera, in evidente stato di alterazione (pare in overdose da supplì), davain escandescenze a La7, dove Mentana l’ha generosamente quanto inspiegabilmente invitato, visto che non sa mai nulla di nulla. Più tardi appositi infermieri lo hanno sedato prima di riconsegnarlo alla famiglia. Ieri questo fenomeno da lunapark, a mezzadria fra mangiafuoco e la donna cannone, ha scritto che “Travaglio è nervoso”, “ha perso le staffe” e financo “le elezioni” (senza essermi mai candidato, diversamente da lui) in un articolo vergato a protezione di un suo ragazzo di bottega: quel Claudio Cerasa che ci dà lezioni sulla trattativa Stato-mafia senza saperne nulla, poi si meraviglia se rispondiamo. Anziché studiare la materia e ripassare a settembre, il Cerasa è andato a piangere dalla maestra perché il compagno più istruito lo canzona e non gli passa il compito. E la maestra, invece di suggerirgli qualche buon libro o dargli ripetizioni, ha preso pietosamente le sue difese. Anche perché la maestra in questione ne sa ancor meno dell’allievo ripetente. Una sera a Linea Notte si parlava del processo Mills: Ferrara tenne subito a precisare che “Travaglio ha letto le carte”, come se fosse una colpa. Infatti disse che non c’era nulla di male se B. aveva allungato 600 mila dollari al suo avvocato. Osservai che, se B. si fosse difeso così, l’avrebbero condannato su due piedi visto che, quando lo pagò, Mills non lavorava più per lui. Il mese scorso, a Servizio Pubblico, Ferrara disse che a casa sua B. va a letto con chi gli pare. Feci notare che era una fortuna per B. essere difeso da Ghedini e non da Ferrara, altrimenti sarebbe spacciato: infatti il reato contestato è proprio aver fatto sesso con una minorenne e poi averla pagata, e la linea difensiva è che Ruby la pagò per buon cuore, senza sesso. Ma Ferrara, appunto, non ha letto le carte. E così i suoi discepoli alla Cerasa: al Foglio leggere le carte è proibito per contratto. Non per nulla, in tutto il pezzo di Ferrara, non c’è l’ombra di un fatto che smentisca quelli che ho raccontato. Anzi, uno c’è: coloro che nel ’93 catturarono Riina “arrestarono Provenzano regnante Berlusconi”. Peccato che sia falso: Riina fu arrestato dal (o consegnato da Provenzano al) Ros, mentre Provenzano restò libero di scorrazzare per l’Italia fino al 2006, quando la Polizia lo catturò il giorno dopo la sconfitta elettorale di Berlusconi. Cose che càpitano a chi, per professione, non legge le carte. Infatti chiama chi le legge “Marco Dettaglio”, come se fosse un insulto. Facciamo così: noi continuiamo a informarci e informare, anche sui dettagli. Loro nel frattempo si consultano, poi ci fan sapere che mestiere fanno.

Incompatibile a chi? - Marco Travaglio - Il F.Q. 13/6/2013

Proseguono le grandi manovre per rasserenare il clima intorno al processo sulla trattativa Stato-mafia. Il Pg della Cassazione ha avviato l’azione disciplinare contro l’ex pm che
avviò l’indagine: Antonio Ingroia, reo di far politica senza lasciare la toga (come decine di
magistrati eletti in Parlamento). Analoga azione ha già colpito l’altro pm titolare dell’inchiesta, Nino Di Matteo, e il procuratore Francesco Messineo. I due l’han fatta grossa. Il primo confermò in un’intervista ciò che avevano scritto tutti i giornali: le intercettazioni indirette di alcune telefonate fra Mancino e Napolitano. Il secondo non denunciò il pm al Csm per il grave delitto di intervista. Poi il vicepresidente del Csm, Michele Vietti, per non restare con le mani in mano, ha rilasciato un’intervista (lui può) per bacchettare la Procura di Palermo che ha osato convocare Napolitano come teste a proposito delle confidenze del suo consigliere D’Ambrosio su “indicibili accordi” fra Stato e mafia. L’altroieri, casomai non si fosse ancora capita l’antifona, Napolitano ha ammonito i magistrati a tener conto “della portata degli effetti, talora assai rilevanti, che un loro atto può produrre anche al di là delle parti processuali”, specie “quando ci sono difficili equilibri politici”. Ora, in attesa di un bombardamento atomico sulla Procura, il Csm ha aperto una pratica per trasferire Messineo per “incompatibilità ambientale”. Le “incolpazioni” fanno scompisciare. 1) Per il “difetto di coordinamento” fra i suoi pm, Messineo avrebbe sulla coscienza “la mancata cattura del latitante Messina Denaro”, dopo un blitz della polizia da lui autorizzato che avrebbe bruciato un’indagine del Ros. Peccato
che il Ros abbia già smentito la notizia. 2) Messineo sarebbe “condizionato” dal suo ex aggiunto Antonio Ingroia, con cui avrebbe “un rapporto privilegiato” che gli avrebbe fatto
“perdere la piena indipendenza”. Ingroia ha lavorato all’antimafia di Palermo per 20 anni, dai tempi di Falcone e Borsellino: il Csm trova disdicevole che Messineo, arrivato in Procura nel 2005, ne sia stato influenzato. Il problema non sono le toghe condizionate dalla mafia, ma dall’antimafia. In ogni caso Ingroia ha lasciato Palermo 7 mesi fa: in che senso oggi Messineo sarebbe incompatibile con Palermo? 3) Ingroia avrebbe condizionato Messineo tenendo nel cassetto per 5 mesi intercettazioni su una possibile fuga di notizie fatta da Messineo a un amico banchiere indagato per usura. Naturalmente Ingroia non ha tenuto nel cassetto un bel niente: a fine indagine, ricevette le trascrizioni delle bobine fatte dalla Finanza e le inoltrò alla competente Procura di Caltanissetta. Che poi ha chiesto e ottenuto l’archiviazione per Messineo: perché mai oggi Messineo sarebbe incompatibile con Palermo? 4) Messineo sarebbe incompatibile anche perché da anni suo fratello e suo cognato sono imputati a Palermo con varie accuse. Forse lo era quando i due furono indagati da Ingroia (Messineo correttamente si astenne). Ma poi Ingroia ne ottenne i rinvii a giudizio e la loro sorte ora è in mano ai giudici: dove sta oggi l’incompatibilità di Messineo con Palermo? 5) Messineo sarebbe incompatibile con Palermo per le “spaccature”
in Procura. Peccato che non le abbia create lui: le ha ereditate da Grasso, sempre contestato dalla gran parte dei suoi pm. Ma il Csm, anziché trasferire Grasso, se ne infischiò. Poi lo promosse Procuratore nazionale antimafia. Il che aiuta a capire perché il Csm si accorge solo ora delle spaccature. Finché rifiutò di vistare l’avviso di chiusura-indagini sulla trattativa (ma non era condizionato da Ingroia?), Messineo andava benissimo. Ora che ha firmato le richieste di rinvio a giudizio e affianca Di Matteo alle udienze, diventa improvvisamente incompatibile. E allora, cari sepolcri imbiancati, abbiate almeno il coraggio di dire la verità: non è Messineo che è incompatibile con Palermo, è lo
Stato che è incompatibile con la Giustizia
.

mercoledì 12 giugno 2013

Disinformati sui fatti - Marco Travaglio - Il F.Q. 12/6/2013

A furia di revisionismi e negazionismi sulla trattativa, finirà che dovremo dimostrare l’esistenza della mafia (su quella dello Stato è inutile perder tempo). È per questo che ci occupiamo spesso di alcuni minori del giornalismo, che parlano di tutto senza sapere nulla, come Claudio Cerasa: per dare un’idea di com’è ridotta l’informazione in Italia, e del perché. Ieri l’orecchiante del Foglio , non contento di essersi bevuto la scombiccherata autodifesa del generale Mori, è arrivato a scrivere che “la trattativa Stato-mafia è una boiata pazzesca”. E il guaio è che potrebbe persino essere in buona fede: gli hanno raccontato che la trattativa è “la
versione di un pm” (Ingroia, che per giunta “si è candidato alle elezioni”) e “di un pataccaro” (Ciancimino jr.), fortunatamente “fatta a pezzi” da Giovanni Fiandaca, “uno dei più autorevoli studiosi di diritto penale”. Dunque, a seguire il suo ragionamento (si fa per dire), se un pm si candida alle elezioni, le sue indagini precedenti sono patacche. Cioè: siccome Ferdinando Imposimato indagò sul caso Moro e poi fu eletto senatore, allora le Br sono innocenti e Moro non fu rapito né ucciso: anzi, pare sia ancora vivo. Purtroppo, a giudicare la fondatezza di un’indagine non sono né i Cerasa né i Fiandaca: è il Gup. E il gup Morosini ha confermato la fondatezza dell’indagine sulla trattativa, rinviando a giudizio tutti gli imputati. Ma tutto questo Cerasa non lo sa. Il processo di Palermo non deve dimostrare la trattativa, già accertata da due sentenze definitive della Cassazione e da quella della Corte d’Assise di Firenze sul boss Tagliavia; bensì l’eventuale colpevolezza di 10 imputati. Ma tutto questo Cerasa non lo sa. È così disinformato sui fatti da scrivere che, siccome Mori e De Caprio del Ros sono stati assolti dall’accusa di aver favorito la mafia, può darsi che il covo di Riina l’abbiano perquisito, o che la colpa sia di Caselli che non gliel’ordinò. Non sa che persino Mori ammette il mancato blitz, ma soprattutto lo dice il Tribunale. L’ordine Caselli lo diede, poi lo revocò perché Mori e De Caprio chiesero un rinvio: ma “sul presupposto indefettibile che fosse proseguito il servizio di video-sorveglianza”, che invece fu subito ritirato; e “l’omessa perquisizione e la disattivazione del dispositivo di controllo” all’insaputa dei pm è “elemento certamente idoneo all’insorgere di una responsabilità disciplinare” dei due ufficiali. Ma tutto questo Cerasa non lo sa. Quanto al papello – farfuglia – “è una fotocopia di cui non esistono accertamenti storici definitivi... portato da un testimone che si chiama Ciancimino”. E chi doveva portarlo, visto che il postino di Riina, Antonino Cinà, lo consegnò a lui? Il documento è una copia perché l’originale fu consegnato da don Vito agli uomini dello Stato, che lo fecero sparire. L’autenticità del documento non è una diceria di Ingroia e Ciancimino: è la conclusione cui è giunta la polizia Scientifica, che ha accertato la datazione della carta e del toner agli anni 90 e l’assenza di ogni possibilità di manomissione (tipo collage o Photoshop). Ma tutto questo Cerasa non lo sa: “La Scientifica ha sì periziato l’autenticità del papello ma senza riuscire a confermane l’autenticità”. Non è meraviglioso? C’è pure il “contropapello” scritto da Vito Ciancimino d’intesa con Provenzano per addolcire il papello di Riina (altra fotocopia autentica, con grafia di don Vito). Ma tutto questo Cerasa non lo sa. Resta poi da spiegare perché, quando Brusca parla per primo del papello nel '96, Mori corra dai giudici a confermare “la trattativa” (la chiama proprio così). E perché, se Riina non scrisse il papello e don Vito non lo consegnò a chi di dovere, i governi dal '93 a oggi lo realizzarono punto per punto, smantellando 41-bis, supercarceri, ergastolo, pentiti e depotenziando la custodia cautelare e il sequestro dei beni. Eppure, che si sappia, Riina, Provenzano e Ciancimino non hanno mai governato. Nostradamus, a quei tre, gli fa una pippa.

martedì 11 giugno 2013

Terminator - Marco Travaglio - Il F.Q. 11/6/2013

Ci eravamo appena abituati, grazie al penultimo monito di Napolitano, all’idea che il governo non fosse a termine, come invece affermava il terzultimo monito di Napolitano. Ed ecco che, dall’ultimo monito di Napolitano contenuto nell’intervista a Scalfari, peraltro registrato prima del penultimo e del terzultimo, apprendiamo che il governo è di nuovo a termine. In attesa di un nuovo monito di Napolitano che chiarisca a noi poveri tapini ma soprattutto a Napolitano se il governo è a termine o no, riepiloghiamo anche per Napolitano le puntate precedenti. Il 2 giugno Napolitano annuncia ai giornalisti che il governo Letta è “una scelta eccezionale e senza dubbio a termine”. Pochi minuti dopo l’Ansa titola: “Napolitano, governo senza dubbio a termine”. Il 3 giugno ecco Repubblica : “Napolitano: il governo è a termine”. Corriere : “Napolitano, esecutivo a termine: 18 mesi per le riforme”. Messaggero : “Riforme, governo a termine”. Due giorni senza moniti, poi il 5 giugno il Fatto intervista Barbara Spinelli. Domanda Silvia Truzzi: “Il capo dello Stato ha messo una data di scadenza al governo, una cosa mai vista. Grillo ha obiettato: ‘A che titolo dice queste cose?’. Lei che ne pensa?”. Risponde la Spinelli: “Grillo ha perfettamente ragione...”. Nel pomeriggio il Premiato Monitificio del Colle dirama un monito appena sfornato: “Si continua ad accreditare (da ultimo, da parte della giornalista del Fatto Quotidiano Silvia Truzzi, nella sua intervista a Barbara Spinelli) il ridicolo falso di un termine posto dal Presidente della Repubblica alla durata dell’attuale governo. E ciò nonostante quel che egli aveva già detto in proposito la sera del 2 giugno ai giornalisti presenti in Quirinale... Sarebbe un fatto di elementare correttezza tenerne conto e non insistere in una polemica chiaramente infondata”. I siti e i giornali, gli stessi che il 3 giugno avevano titolato sul governo a termine, fanno finta di nulla: “Napolitano smentisce il Fatto ”. In realtà smentisce se stesso, ma non si può dire: qualcuno potrebbe dubitare della sua lucidità mentale. Domenica alla festa di Repubblica viene trasmesso il video di una sua frizzante intervista con Scalfari. Dopo aver ripercorso uno degli snodi fondamentali della storia patria, le leggendarie dimissioni del ministro dell’Agricoltura del governo Pella nell’agosto del '53, già compulsato l’estate scorsa nel memorabile duetto a Castelporziano alla presenza dell’upupa e del cinghialotto, si passa all’attualità. Scalfari assesta la domanda del kappaò: “Il Paese era diviso, si avvertiva la necessità di una continuità istituzionale”. Napolitano, messo alle corde da cotanta impertinenza, risponde: “Un’alleanza politica è sempre a termine, in particolare quando è eccezionale, come tra il ’76 e il ’78 e come quella attuale... Ora il problema è far vivere il governo per un’esigenza di minima stabilità istituzionale e di sopravvivenza del Paese. Poi ciascuno riprenderà la propria strada”. Repubblica la riassume ieri in prima pagina: “Napolitano a Scalfari: alleanza a termine, ognuno riprenderà la sua strada”. E il Corriere : “Esecutivo nato in situazione eccezionale, l’alleanza è a termine”. Mentre scriviamo, ancora nessun monito contro chi “continua ad accreditare il ridicolo falso di un termine posto dal Presidente all’attuale governo”. Nasce financo il sospetto che ad “accreditare il ridicolo falso di un termine posto dal Presidente” sia il Presidente. Ma resta inevaso un interrogativo: perché lo fa? È un burlone che fa scherzi di Carnevale fuori stagione? È affetto da sindrome bipolare? Confonde il governo Pella col governo Letta? Non ci sta più con la testa? Speriamo di no, visto che l’avremo sul groppone per altri sette anni (a meno che non sia lui stesso a termine, ma non saremo certo noi ad accreditare il ridicolo falso). Non resta che attendere un monito di Napolitano contro Scalfari. O contro Repubblica e Corriere. O, Dio non voglia, contro Napolitano.

mercoledì 29 maggio 2013

Veni, vidi, inciuci - Marco Travaglio - Il F.Q. 29/05/2013.

Chi ha visto i tg e i talk di lunedì e ha letto i giornali di ieri s’è fatto l’idea che gli italiani, improvvisamente impazziti tre mesi fa quando andarono in massa a votare Grillo, siano prontamente rinsaviti precipitandosi a premiare il Pd e le sue larghe intese col Pdl. A parte una quota crescente di elettori che, in preda a una non meglio precisata “disaffezione” o “distacco” dalla politica, è rimasta a casa. Corriere : “Vince l’astensione, perde Grillo, sale il Pd”. Repubblica : “La rivincita del Pd, crolla Grillo”. La Stampa: “Fuga dal voto, flop dei grillini, il Pd risale”. L’Unità: “Avanti centrosinistra”, “La spinta per ripartire”. Libero : “La tenuta del Pd allunga la vita al governo Letta”. Poi uno legge i numeri e scopre che non ha perso solo Grillo. Han perso tutti. Chi molto, chi moltissimo. Prendiamo Roma. Alle ultime comunali del 2008, quando Alemanno batté Rutelli al ballottaggio, il Pd prese 520.723 voti (34,04%) e il Pdl 559.559 (36,57%). L’altroieri il Pd s’è fermato a 267.605 (26,26%) e il Pdl a 195.749 (19.21%). Cioè: il Pd ha perso 295.160 voti (-43%) e il Pdl 457.935 (-65%). Ma, si dirà, era un altro mondo: i neonati 5Stelle si fermarono al 2%. Bene. Allora vediamo le politiche di febbraio 2013. A Roma il Pd raccolse 458.637 voti (28,66%) e il Pdl 299.568 (18,72%). Cioè: in tre mesi il Pd ha perso per strada 191.032 voti (-41%) e il Pdl 103.819 (-34%). Che senso ha dire che il Pd “sale”, o “avanza”, o “tiene”, o “risale” o addirittura ottiene la “rivincita”, quando nei comuni capoluogo perde il 38% dei voti in tre mesi? Sappiamo bene che, nelle comunali, conta arrivare primi. Ma questo varrebbe anche se la prossima volta i votanti fossero tre, e due scegliessero il Pd e uno il Pdl: sarebbe questa una vittoria, una salita, una risalita, una rivincita, una tenuta, un’avanzata, una spinta? Ma ecco l’angolo del buonumore, cioè il Giornale. Titolo: “Il voto non preoccupa il Cav: il governo rimane al sicuro”. Svolgimento: “Che avrebbe dovuto pagare un piccolo pedaggio alle larghe intese, il Cavaliere l’aveva messo in conto”. Piccolo pedaggio? Perdere due terzi dei voti a Roma in cinque anni e un terzo in tre mesi è un “piccolo pedaggio”? E l’estinzione allora che cos’è, un medio pedaggio? Sallusti News parla anche di “flop dell’antipolitica”: il 50% fra astenuti e grilli non gli basta, comincerà ad accorgersene dal 90% in su. Il meglio però lo danno gli aruspici delle larghe intese, intenti a leggere i fondi di caffè per saggiare la magnifiche sorti e progressive dell’inciucio. Enrico Letta non ha dubbi: “Ha vinto il governo delle larghe intese, nessun premio alle forze di opposizione. Dicevano che il cosiddetto inciucio doveva portare Grillo all’80%: si sbagliavano, al ballottaggio vanno solo candidati del Pd e del Pdl”. Il Genio Nipote non s’è neppure accorto che i protagonisti delle larghe intese, Pd e Pdl, han perso almeno un milione di voti su sette in tre mesi (di Monti è inutile dire: non pervenuto). E non lo sfiora neppure l’idea che Pd e Pdl vadano al ballottaggio proprio perché si presentano l’un contro l’altro armati, non affratellati in un’unica lista, secondo uno schema che è l’esatto opposto delle larghe intese. Ma sentite l’acuto Epifani: “La gente ha capito che questo governo non è un inciucio, ma un servizio al Paese”. Forse non sa che Marino è uno dei pochi pidini che han votato contro il governo Letta. O forse pensa davvero che a Isola Capo Rizzuto i pochi elettori superstiti, mentre si trascinavano ai seggi, si interrogassero pensosi sui destini delle larghe intese. Ma sì, dai, non è successo niente, anzi è tornato tutto come prima. A parte un filo di “disaffezione”, ecco. Questi, quando vedranno i primi i forconi, esulteranno fischiettando: “Visto? Stiamo rilanciando l’agricoltura”. Ps. A Sulmona va al ballottaggio, secondo classificato col 21,8%, l’ingegner Fulvio Di Benedetto, della coalizione civica Sulmona Unita. Il quale, purtroppo, è morto 15 giorni fa. Un altro ottimo auspicio per le larghe intese.

martedì 28 maggio 2013

Ma mi faccia il piacere - Marco Travaglio - Il F.Q. 27/05/2013.

Il Fico Fioroni. “Noi del Pd non possiamo continuare con una linea politica oscillante. I problemi di Formigoni e Berlusconi erano già noti a tutti quando abbiamo deciso di far parte di questo governo. E l’ineleggibilità non è nel programma approvato dalle Camere. Oltretutto ne abbiamo discusso per vent’anni… Il continuo botta e risposta Pd-Pdl non va bene, altrimenti agli italiani diamo l’idea che abbiamo sbagliato a fare il governissimo e che avremmo dovuto fare altro” (Giuseppe Fioroni, Pd, Corriere della sera, 17-5). Viceversa, votando Formigoni presidente di commissione e Berlusconi eleggibile gli italiani si fanno l’idea che il governissimo è cosa buona e giusta. E profumata, anche.

Papi-2 la vendetta. “Sa qual è una considerazione che ho fatto? Che i miei due figli Cristiano e Federico sono coetanei dei figli di Enrico Letta e delle nipoti di Anna Maria Cancellieri. Nunzia De Girolamo ha una bambina piccola. Al Quirinale ho visto i ragazzi di Josefa Idem. Una caratteristica di questo governo è che tutti hanno dei bambini in casa. Se questo governo dice di voler regalare giorni migliori ai propri figli non è una metafora, non è un’immagine letteraria; è esattamente l’idea di un’Italia che pensa al futuro, con lo sguardo di un padre che lo vorrebbe regalare bellissimo ai propri figli” (Angelino Alfano, vicepremier Pdl, Corriere, 19-5). Se ne approfitta perchè gli infanti non possono parlare. Qualcuno, per favore, chiami il Telefono Azzurro.

Definitiva, cioè provvisoria. “Le argomentazioni della Cassazione sono erronee e sconnesse rispetto alla realtà fattuale e processuale, saranno oggetto di impugnazione” (onn. avv. Niccolò Ghedini e Piero Longo, difensori di Silvio Berlusconi, 23-5). Ora chiamano i caschi blu.

Logica pura. “Se potesse leggere simili motivazioni, il giudice Falcone, ne sono certo, si rivolterebbe nella tomba” (Alessandro Sallusti, il Giornale, 24-5). Ma, se potesse leggere le motivazioni, Falcone sarebbe vivo e dunque non si rotolerebbe nella tomba, semplicemente perchè non sarebbe nella tomba.

Grasso che coda (di paglia). “Ritengo inappropriato sostenere che proposte di contrasto alla corruzione o al voto di scambio possano essere considerate divisive. Su questi temi bisogna convergere” (Piero Grasso, presidente del senato Pd, 23-5). Giusto: tutti contro.

Battista, le pantofole! “Il Movimento 5Stelle non dà un’immagine molto diversa da quella offerta dai partiti tradizionali. Le sirene del Palazzo lo stanno conquistando. La ‘società civile’ tanto lodata, alla fine sparisce” (Pierluigi Battista, Corriere , 24-5). In effetti i 5Stelle sono all’opposizione e rinunciano a 42,7 milioni di “rimborsi elettorali”, mentre i partiti tradizionali sono al governo e ne incassano 100. Niente da fare, sono tutti uguali. Angelino, il caffè! “Ho lo stipendio base, tutto il resto lo faccio gratis” (Angelino Alfano, “Quinta Colonna”, Rete 4 , 20-5). Tipo portare a Berlusconi caffè e cornetto mattutini, o spolverare la casa. Non lo fa per soldi, ma per passione. Che amore. L’Abbronzato e il Visopallido. “Obama- Letta: prima il lavoro. La telefonata del presidente statunitense Barack Obama al premier Enrico Letta, centrata sul problema della disoccupazione giovanile, manda messaggi di grande importanza per il governo italiano e per l’Europa. Si tratta di un vero e proprio endorsement che il presidente americano ha voluto fare a Letta in riconoscimento delle posizioni che egli ha assunto verso l’Europa e verso i giovani” (Nicola Cacace, l’Unità, 21-5). La notizia è che Obama conosce Enrico Letta. Ora si tratta di avvertire l’Europa. Il raccomandato ignoto. “Caro Presidente, mi è stato richiesto di richiamare la tua attenzione sulla richiesta di assunzione in AMA del sig… di cui ti allego il curriculum e la copia di una sua lettera all’AMA. Non conosco personalmente il sig… ma mi vengono garantite le sue capacità professionali e la sua correttezza personale. Con viva cordialità” (lettera di Luigi Zanda al presidente dell’azienda municipale per rifiuti di Roma, Corriere , 21-5). Lei non sa chi raccomando io. Houdini. “Aboliremo le Province” (Graziano Delrio, ministro per le Autonomie, Corriere , 26-5). Questa ci pare di averla già sentita da qualche parte, ma dove? Scalfarusti. “Il sindacato e in particolare la Cgil ha anch’esso notevoli responsabilità. In tutti questi anni s’è trincerato dietro la difesa dei privilegi esistenti accogliendo col contagocce la flessibilità di un mercato del lavoro che, ingessato nella normativa, è diventato di fatto non già flessibile, ma caotico” (Eugenio Scalfari, la Repubblica, 26-5). Questa l’abbiamo già sentita da Sallusti: la Cgil avrebbe dovuto firmare senza neppure leggerle le Grandi Riforme di Brunetta, Sacconi, Fornero, invece s’è trincerata. È talmente poco flessibile che non le riesce proprio di piegarsi a 90 gradi.

Nessun multi Ostellino - Marco Travaglio

Carta Canta - l'Espresso, 24 maggio 2013

Non c'è indagine intercettazione, interrogatorio, rinvio a giudizio, requisitoria, sentenza che non incontri la più fiera e risentita avversità di Piero Ostellino sul Corriere. Dipendesse da lui, le carceri sarebbero disabitate, perché ai suoi occhi tutti gl'indagati, imputati e condannati sono innocenti perseguitati. Di solito il suo empito assolutorio accarezza imputati eccellenti, ma non sempre. Una volta Ostellino tuonò contro il malvezzo illiberale di multare i pirati della strada (“il limite di velocità è diventato una forma di lotta di classe e l’autovelox l’incrociatore Aurora che dà il via alla rivoluzione egualitaria”). Il che fece sospettare a Michele Serra che un vigile comunista l'avesse beccato ai 200 all'ora. E a pensar male... L'altro giorno Ostellino ha confessato il movente di tanta bile contro la Giustizia italiana: “Mi è bastato di averci avuto a che fare una sola volta per convincermene”. Fu quando – racconta, ancora affranto – denunciò qualcuno per diffamazione e ottenne ragione. Purtroppo però il risarcimento in Cassazione “fu ridotto a meno di un terzo di ciò che aveva già fissato la seconda sentenza che aveva già ridotto d'un terzo l'indennizzo della prima”. Ora lo sventurato deve “restituire pressochè tutto ciò che avevo incassato” e magari speso. Si spera in una colletta degli eventuali lettori per alleviargli l'esborso. Impossibile riconciliarlo con la Giustizia (“Non ne ho alcuna fiducia”) che l'ha colpito proditoriamente negli affetti più cari per motivi politici (“perchè politicamente antipatico”). Di qui il rovello che gli leva il sonno: perché “si perviene a sentenze poi smentite anni dopo”? Qualcuno potrebbe rispondere: perchè abbiamo – unici al mondo – tre gradi di giudizio. Ma per Ostellino non è colpa delle leggi, bensì della magistratura: “gente che non sa fare il proprio mestiere o lo fa con la (paranoide) presunzione di poter disporre della vita degli altri a proprio arbitrio”, “animata di un senso politico-palingenetico della funzione o di un'idea di se stessa che rasenta la paranoia”. Come già disse l'autorevole Berlusconi, ”i giudici sono matti, se fai quel mestiere devi avere delle turbe psichiche”. Ora si spera che il dentista di Ostellino non gli sbagli un ponte, se no quello dichiara guerra all'Ordine dei medici. Ma sarebbe ingiusto ridurre tutto a questione privata. Egli infatti corre al salvamento di tutti i suoi amici e beniamini imputati, e sono tanti: Craxi, Moggi, Ricucci, Berlusconi. Ma anche Andreotti, la cui colpevolezza – assicura – non fu “mai provata”. Strano: la sentenza recita “reato commesso fino alla primavera del 1980”.
Ma il bello di Ostellino è che pontifica su tutti i processi senza saperne nulla. L'altro giorno ha chiamato due volte “arringa” la requisitoria del pm Boccassini su Ruby e l'ha definita “teorema” perché “non si trova la (presunta) vittima del puttaniere” e “il funzionario di Questura nega di essere stato concusso”. Non sa che i due delitti sono perseguibili d'ufficio, senza bisogno di denunce: anche perchè le vittime di entrambi si trovano in stato di minorità e soggezione, e spesso negano di esserlo (se un boss induce un commerciante a pagare il pizzo e questi nega, viene condannato lo stesso). Poi aggiunge che Di Pietro, al posto della Boccassini, “avrebbe messo in galera Berlusconi e non ce lo avrebbe tirato fuori fino a quando, pur di uscirne, non fosse stato disposto ad accusarsi di aver fatto sesso con la madre”. Ora, purtroppo, l'ex pm Di Pietro non ha mai arrestato né liberato nessuno (è compito del gip). Ma soprattutto non avrebbe mai potuto mettere in galera Berlusconi neppure volendo, per via dell'immunità. Mica siamo nei “Paesi dove la Giustizia è amministrata in nome della 'rule of law', il governo della legge” magnificati da Ostellino. Tipo la Gran Bretagna, dov'è stato appena arrestato il deputato Nigel Ivans, vicepresidente della Camera, accusato di molestie da due giovani di 20 anni. I due sono maggiorenni, il deputato non ha immunità (a Londra non esiste), Di Pietro e Boccassini non c'entrano. Delle due l'una: o i teoremi delle nostre toghe rosse sono contagiosi, oppure Ostellino non sa quello che dice.

venerdì 24 maggio 2013

I ladri e i Penati - Marco Travaglio - Il F.Q. - del 24/05/2013.

In perfetta coerenza con la sua missione di depistare i lettori anziché informarli, la gran parte della stampa titola sul falso scandalo di Filippo Penati che incassa la prescrizione a sua insaputa dopo aver giurato che vi avrebbe rinunciato, anziché sul vero scandalo della legge Severino, umoristicamente chiamata “anticorruzione”, che gli ha regalato la prescrizione anticipata. Penati ha lasciato la politica, è tornato a fare l’insegnante (non osiamo immaginare di quale materia) e, in un paese dove neanche i politici rinunciano alla prescrizione di reati gravi, figuriamoci se possiamo pretenderlo dai privati cittadini. Lo schifo è un altro: la legge bipartisan del governo Monti che “spacchettò” il delitto di concussione, lasciando intatta quella “per costrizione” e scorporando quella “per induzione” (quando il pubblico ufficiale estorce denaro al privato con le buone maniere, forte del suo potere intimidatorio, cioè nella maggior parte dei casi). La prima fattispecie restò punita fino a 12 anni, con prescrizione di 15. La seconda divenne un reato minore, con pena massima di 8 anni e prescrizione di 10. Il tutto su proposta del Pd, con i voti del Pd e del Pdl e con la firma della cosiddetta ministra della Giustizia, i cui conflitti d’interessi di superavvocato dei maggiori gruppi imprenditoriali e finanziari furono segnalati dal Fatto in beata solitudine . Ciascun artefice di quel capolavoro aveva da guadagnarci: B. risparmiava anni di galera in caso di condanna per il reato più grave del processo Ruby (concussione per induzione); e Penati vedeva evaporare per legge le tangenti che è accusato di aver estorto agli imprenditori fino al 2001 e girato in parte alle casse dei Ds. Perciò scrivemmo (insieme all’Espresso e a Liana Milella di Repubblica), che la legge anticorruzione non era solo inutile, ma pure dannosa. Ricevemmo piccate letterine delle molto onorevoli pd Ferranti e Finocchiaro che negavano l’evidenza del colpo di spugna. Ora che i fatti si sono incaricati di sbugiardarle, tacciono e fanno carriera: l’una è presidente della commissione Giustizia, l’altra degli Affari Costituzionali. Certi meriti vanno premiati. E l’unico che si oppose in Parlamento alla porcata, Antonio Di Pietro, è stato espulso dal centrosinistra e dunque dalla politica attiva, per lesa omertà. Certi demeriti vanno puniti. E poi difficilmente un centrosinistra con Di Pietro e Ingroia avrebbe potuto riallearsi con B. Bisognava fare pulizia degli onesti. Ora che tutte le carte sono scoperte, lorsignori ci risparmino almeno le tartuferie. Quelle del centro-destra e dei suoi house organ che sparano su “Penati furbetto” che “intasca la prescrizione” (il Giornale), “si distrae un attimo e lo prescrivono” (Libero), ma quando il furbone B. intasca la prescrizione parlano di assoluzione. E quelle del centrosinistra su Penati che promette di “impugnare la prescrizione in Cassazione” (l’Unità) e sul Pd che annuncia una nuova legge anticorruzione firmata dal Grasso ridens, ben sapendo che non passerà mai perché il Pdl leverà le castagne dal fuoco a tutti bloccandola. Lo vedono anche gli orbi che l’inciucio è figlio dei ricatti incrociati che avviluppano uomini chiave di Pdl e Pd in un unico sistema marcio: da Telecom a Parmalat, dalla banda Furbetti alla banda Tarantini, da Finmeccanica a Montepaschi. Io copro te, tu copri me: e la chiamano “pacificazione”. In mezzo, visti come sabota-tori della presunta “tregua”, un pugno di pm che si ostinano a fare il loro mestiere. In due giorni la Procura di Palermo ha sequestrato 80 milioni di beni mafiosi e quella di Milano 1,2 miliardi (miliardi!) sottratti dai Riva all’Ilva. Con una vera legge anti-corruzione-riciclaggio-evasione si potrebbero recuperare enormi fortune per risolvere “i veri problemi del Paese”. Invece questi tartufi del Partito Unico, Cancellieri in testa, ripetono che “le priorità sono altre”. Il che, con i ladri e i loro amici al governo, è pure vero.

Nanucapione - Marco Travaglio - Il F.Q. - 23/05/2013.

La scena ricorda quelle dei film di Er Monnezza. Esterno notte, strada buia alla periferia di Roma illuminata dai fuocherelli delle mignotte. Ne arriva una nuova e viene subito scacciata dalle veterane: “‘A bbella, qua ce stamo noi, questa è zona nostra”. E la novizia deve sloggiare. È quel che sostengono anche i servi di B. sparsi nel Pdl, nel Pd e sui giornali, impegnatissimi a difendere la sua permanenza abusiva in Parlamento col decisivo argomento che lui sta lì da vent’anni, non importa se illegalmente in base alla legge 361 del 1957: quella è zona sua. È una nuova versione di quella che in diritto si chiama “usucapione”: se uno s’impossessa di un bene non suo, dopo vent’anni ne diventa proprietario. Ora, siccome dal ’94 centrodestra e centrosinistra si sono dati il cambio nel dichiararlo eleggibile anche se non lo era, B. dopo vent’anni ha acquisito il seggio per nanucapione. Michele Ainis, giurista, riconosce sul Corriere che in effetti la legge “proibisce l’elezione dei titolari di concessioni (come le frequenze tv) da parte dello Stato” e la ragione è “evidente anche a un bambino: disinnescare i conflitti d’interesse”. Quindi B. vende le tv o lascia il Senato? Eh no, troppo semplice: visto che dal ‘94 “ha prevalso un’interpretazione formale o formalistica” (i nuovi sinonimi di “illegale”), può restare lì in eterno: “C’è un che difanciullesco nella pretesa di riscrivere il passato usando la legge come una macchina del tempo… Dicono i 5Stelle: su B. fin qui avete sbagliato, perché mai perseverare nell’errore? Risposta: perché nel diritto parlamentare ogni errore reiterato si trasforma in verità”. Errare è umano, perseverare è legge. Solennissima corbelleria: da anni le Camere immunizzano i propri membri dai processi per diffamazione con la scusa dell’insindacabilità delle opinioni espresse dal parlamentare nell’esercizio delle funzioni; ma non si contano le sentenze della Consulta che ribaltano quei voti fuorilegge e autorizzano i giudici a procedere. Ma per i giuristi alla Ainis il rispetto delle leggi dello Stato non è un valore: è una bizzarra pretesa dei 5Stelle. I quali, appena arrivati, sono ancora dei ragazzini. Ma si spera che diventino presto uomini di mondo. Come diceva Giolitti, la legge per i nemici si applica e per gli amici si interpreta. Anzi, si viola. Con l’ulteriore complicazione che qui amici e nemici si son sempre messi d’accordo per un piatto di lenticchie. Memorabile il titolo di Repubblica sul Pd, che ancora due mesi fa giurava con Bersani, Zanda e Migliavacca che avrebbe votato per l’ineleggibilità di B., e ora ha cambiato idea (o più probabilmente mentiva due mesi fa): “La rassegnazione dei democratici: ‘Impossibile far decadere Silvio’”. Ecco, non è colpa loro, ma di misteriosi fattori esogeni: le avverse condizioni metereologiche? Malèfici influssi extraterrestri? E par di vederli i poveri democratici, incolpevoli di tutto, mentre guardano “rassegnati” i democratici che corrono a salvare B. un’altra volta. Violante detta la linea: “Per 3-4 volte abbiamo votato per l’eleggibilità. Se non ci sono fatti nuovi non vedo perché dovremmo cambiare questa scelta”. Lui è sempre a disposizione: quando B. chiama, scatta in automatico il Pronto Intervento Violante. Dovrebbero dotarlo di sirena e lampeggiante, per evitare che resti impigliato nel traffico e arrivi in ritardo. Oppure, visto che Ghedini e Longo ultimamente lasciano un po’ a desiderare, nominarlo avvocato difensore di B. ad honorem. Anche perché ha già figliato una nidiata di violantini. Per esempio Doris Lo Moro, che sarebbe pure un magistrato: “Quella del 1957 è una norma evanescente perché il ‘57 è secoli fa”. Anche le leggi, come i reati, cadono in prescrizione dopo un po’. Se la gentile signora Lo Moro ci dice dopo quanti anni, è fatta. Il furto, per esempio, è punito almeno da quando Mosè scese dal monte Sinai con le tavole della legge. Millenni fa. Se anche il settimo comandamento è evanescente, ci divertiamo.

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