Carta Canta - l'Espresso, 15 marzo 2013

Tra i leader rottamati dalle elezioni, quello che più mancherà nel nuovo Parlamento è Antonio Di Pietro. Non, naturalmente, per i tanti sciagurati errori commessi nella scelta di molti candidati: da De Gregorio a Razzi a Scilipoti,
peraltro tutti e tre oggetto delle attenzioni delle Procure perché
sospettati di aver voltato gabbana a pagamento. Ma per le sue scelte di
politica giudiziaria che, se il centrosinistra le avesse seguite anziché
bollarle di “giustizialismo”, avrebbe evitato tanto guai a se stesso e
al Paese. Nel 1997 Di Pietro non era ancora parlamentare, ma si schierò contro la Bicamerale, cioè all'inciucio suicida con Berlusconi per tagliare le mani ai magistrati: se D'Alema & C.
gli avessero dato retta, si sarebbero risparmiati una figuraccia e un
sospetto che non si sono più scrollati di dosso. Nel 2001 l'Idv, espulsa
dalla Margherita, mancò per un soffio il quorum del 4% e restò fuori
dalle Camere. Di Pietro ne approfittò per avviare il dialogo con i
Girotondi, supportandoli nelle iniziative di piazza che nel 2002
ridiedero fiato all'opposizione, dal Palavobis alla grande
manifestazione di piazza San Giovanni. Nel 2006 Prodi
lo volle con sé nell'Unione e l'ex pm, ministro dei Lavori Pubblici,
scongiurò il centrosinistra di escludere i reati di Tangentopoli, ma
anche il voto di scambio politico-mafioso dall'indulto extra-large
patrocinato da Mastella, Ds, Margherita, Prc, Verdi,
Udc e Forza Italia. Naturalmente invano, col risultato che l'Unione,
precipitò nei sondaggi e nel giro di due anni perse governo ed elezioni. Di Pietro tornò in piazza con Grillo e i
movimenti contro il lodo Alfano (avallato dal centrosinistra), poi
raccolse le firme per i referendum contro il legittimo impedimento, il
nucleare e la privatizzazione dei servizi idrici (boicottati dal
centrosinistra). Eppure fu proprio grazie a quei referendum, vinti
contro ogni aspettativa nell'estate 2010, che iniziò il declino di
Berlusconi, già azzoppato da Fini, e la riscossa progressista con l'elezione dei sindaci De Magistris, Pisapia, Orlando e Doria.
Insieme a Parisi e Segni, Di Pietro patrocinò anche il referendum
anti-Porcellum osteggiato da Pd e Quirinale in nome della “via
parlamentare”. Risultato: il Porcellum restò tal quale e i partiti
furono ben felici di conservarlo, gonfiando le vele a Grillo. Intanto
Berlusconi si era dimesso per mancanza di maggioranza e Di Pietro invocò
il ritorno immediato alle urne, che avrebbe cancellato il Caimano dalla
scena politica per sempre. Il Pd invece preferì allearsi col Pdl e col
Centro nel governo Monti, regalando a Berlusconi 16 mesi per far dimenticare agli italiani i suoi disastri. Di
Pietro fu l'unico, nel centrosinistra, a votare contro i decreti del
Prof, dal taglio delle pensioni all'Imu sulla prima casa alla ridicola
legge anticorruzione Severino che, come segnalavano i
suoi esperti di giustizia Palomba e Li Gotti, non conteneva il
ripristino del falso in bilancio e regalava la prescrizione a Penati e ai suoi complici delle coop rosse imputati di corruzione per induzione. Le stesse cose scrivemmo sull
'Espresso, buscandoci le reprimende della geniale responsabile giustizia Pd Donatella Ferranti.
Come la cronaca giudiziaria s'è appena incaricata di dimostrare, aveva
ragione Di Pietro, e anche noi. Ora che il Pd presenta una spudorata
legge anticorruzione per ripristinare la concussione per induzione e il
falso in bilancio, naturalmente dopo aver salvato gli imputati delle
coop rosse nel processo Penati, dovrebbe avere almeno il buon gusto di
riconoscerlo e chiedere scusa. E di ammettere che, se avesse dato retta a
Di Pietro sostenendo il referendum contro il finanziamento pubblico dei
partiti mascherato da “rimborso”, forse non sarebbe stato scavalcato da
5 Stelle. E se non avesse espulso dalla coalizione Di Pietro e negato
ogni dialogo a Ingroia, avrebbe preso qualche punto in
più e non avrebbe perso le ultime elezioni.
Per uno strano paradosso
della storia, chi non ne ha mai azzeccata una siede in Parlamento,
mentre Di Pietro che le aveva azzeccate quasi tutte (candidati a parte) è
fuori. Il Pd potrebbe chiedergli almeno una consulenza, magari di
nascosto, per evitare il suicidio definitivo.
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