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martedì 5 marzo 2013
Un anno senza (anzi con) Lucio - Marco Travaglio - Il F.Q. 5/3/2013
Ieri, 4 marzo, Lucio Dalla ha compiuto 70 anni, un giorno prima dell'altro Lucio: Battisti. Avrebbe
compiuto? No, ha compiuto. Perché gli uomini magici vivono per sempre. Nell'altra vita ma
anche e soprattutto in questa. Dove c'è molto più bisogno. “Anche se il Tempo passa e tu non sei mai la stessa/ Vita, ti voglio e ti vivrò per tutto il tempo che resta (Anche se il tempo passa).
IN QUEST'ANNO che ci separa dalla sua morte apparente, avvenuta per infarto il mattino del
1° marzo 2012, in una stanza dell'hotel Royal Plaza di Mon- treux, città svizzera consacrata al jazz, dopo l'ultimo concerto, hanno provato a ingabbiarlo in mille schemi, stereotipi, etichette: bolognese e terrone; jazz e pop, rap e rock, tango e mélo; comunista e amico di Craxi e Guazzaloca; cattolico e laico; impegnato e commerciale; poe- ta e prosatore; amico di De Gregori e di Zero; genio elegante, con parrucchino; gay ma anche no. Poveretti, che miseria. Come se Lucio Dalla potesse rientrare in una categoria, definizione, maschera. Non occorreva conoscerlo, bastava guardarlo,
ascoltarlo, canticchiarlo per sa- perlo onnivoro, libero, spiazzante, curioso, aderente a tutto e al contrario di tutto senz'essere mai contraddittorio, perché nel suo piccolo, meno di 1 metro e 60, era tutto e di tutti senz'appartenere a nessuno. “Tra i gatti che non han padrone come me, attorno a me” (Piazza Gran- de). Il giorno prima di andarsene, mi inviò una mail dal beffardo indirizzo “Domenico Sputo”, con allegato il primo post per il suo nuovo blog sul sito del Fatto. Ore
16.51, 28 febbraio 2012: “Caro Marco, questo è un mio scritto che Marco (Alemanno, ndr) ha
letto in un liceo di Zurigo: è rivolto a dei ‘giovani incomprensibili’ come vestiti senza armadio o passeri sotto la pioggia senza un filo dove appoggiarsi. Io ho speranza e vorrei passargliene un po' anche a loro, avvertendoli dei piccoli pericoli mortali che li circondano e che a volte nelle notti senza luna puntano dritti verso il loro cuore. Mi verrebbe da parlare per dei mesi di quello che ho visto e vedo e sogno un futuro da baciare in bocca ma a volte sembra che non solo la bocca ma anche il futuro non c'è. Lucio”. Gli sarebbero piaciuti questi giorni di caos creativo, a lui che sempre
cercava il nuovo: scoprendo, sperimentando e rassicurando dalla paura di cambiare.
“Nascerà e non avrà paura nostro figlio. E chissà come sarà lui domani, su quali strade camminerà, cosa avrà nelle sue mani... E se è una femmina si chiamerà Futura. Il suo nome detto questa notte mette già paura, sarà diversa, bella come una stella, sarai tu in miniatura... Non voltarti indietro, qui tutto il mondo sembra fatto di vetro e sta cadendo a pezzi come un vecchio presepio... Non girare la testa... Aspettiamo che ritorni la luce, di sentire una voce, aspettiamo – senza avere paura
– domani” (Futura). UN GIORNO Lucio mi racconta di B. “L'ho conosciuto a cena a casa di Craxi, che lo trattava come la sua colf. ‘Silvio, non vedi che è finita l'acqua minerale?’. Lui correva in cucina a prenderla. Un pomeriggio sono al teatro di Como a provare il concerto serale. Mi dicono che nella piazza lì dietro c'è un comizio del premier. Lo chiamo sul cellulare per fargli uno scherzo. ‘Pronto, sono Dalla’. Risponde la scorta: ‘È già sul palco che parla’. ‘Allora chiamo dopo’. ‘No, glielo passo’. Sento Berlusconi che annuncia la mia telefonata e avvicina il microfono al cellulare. Gli dico: 'Vieni in teatro a fare il concerto, intanto io vengo lì e ti finisco il comizio”. Lui fa una risata, la gente applaude: insomma mi usa per farsi bello. Ma poi scopro che non ci credeva che fossi davvero io: pensava a un provocatore che aveva avuto il suo numero chissà come. Infatti inizio a ricevere dal suo numero telefonate minatorie: ‘Sappiamo chi sei, attento a te!’. E chiamate mute da numeri sconosciuti. Da allora ho memorizzato il suo numero alla voce ‘Spia’”. Quando
Dalla s'è rimesso con De Gregori per la seconda, meravigliosa tournée insieme, li ho visti cinque volte. All’inizio, in scaletta, non c’è L'ultima luna. Glielo faccio notare, e lui: “Hai ragione, è
attualissima: col caso Ruby, poi...”. La volta dopo, nel pomeriggio, mi arriva un suo sms: “Marcone, stasera attento alla sorpresa del settimo brano”. Era L'ultima luna. “La sesta luna era il cuore di un di- sgraziato che maledetto il giorno che era nato, ma rideva sempre... Toccava il culo a una signora e rideva e toccava, sembrava lui il padrone” (L'ultima luna). Dalla aveva un sosia ufficiale, Vito D'Eri: stessa corporatura, barbetta, mento in avanti, occhietti a freccia dietro gli occhia- li tondi. Solo, stonato. Fa l'imbianchino a Bologna. Il Co r r i e re racconta che, quando lo conobbe nel 1991, Lucio gli disse: “Le nostre mamme saranno state delle gran puttane”. E Vitone: “Forse la tua”. Una volta Dalla lo mandò sul palco delle prove del Festivalbar ad Ascoli, tanto c'era il playback, e corse alla partita della Virtus Basket: nessuno si accorse di nulla. Un'altra volta lo usò al suo posto in un con- certo romano di Gigi D'Alessio, sempre in playback. Chissà quanti sono i sosia ufficiosi. Milioni. Chiunque abbia in testa un pensiero diverso deve sentirsi un po' Lucio. “Il pensiero dà fastidio, anche se chi pensa è muto come un pesce, anzi è un pesce e come pesce è difficile da bloccare. Chi comanda non è disposto a fare distinzioni poetiche: il pensiero è come l'oceano, non lo puoi bloccare, non lo puoi recintare” (Com'è profondo il mare). LA SERA PRIMA del funerale un gruppo di amici si ritrovano nella casa bolognese della Lella a cazzeggiare di Lucio. La Lella l'ha visto al suo ritorno da Sanremo. Lui le ha raccontato di Belén scosciata con la farfallina proprio lì, irridendo al gran disdoro delle femministe: “Ho visto tutto da dietro le quinte, poi sul palco ho suonato con una palla di fuori...”. Eccolo, il Poeta Cazzaro. Profondo e leggero. Anche di fronte alla morte, che “è solo la fine del primo tempo”. E ha una controindicazione: “i politici ai funerali, un'ottima ragione per non morire”. Eppure i suoi funerali a San Petronio, il 4 marzo, in Piazza Grande, 30 mila persone, furono un miracolo nonostante i politici: sull’altare, tra i preti e i vescovi concelebranti, il saluto innamorato di Marco Alemanno, che lo incontrò un giorno per strada e non lo lasciò più, e ora leggeva “Le rondini” e chiudeva strozzato: “...oggi insieme a voi posso dirgli grazie!”. “È eterno anche un minuto, ogni bacio ricevuto dalla gente che ho amato” (Siamo Dei).
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