Nella non sempre nobile, anzi quasi sempre ignobile, battaglia per il Quirinale,
in questi primi 67 anni di storia repubblicana, s’è visto di tutto.
Pugnali, veleni, franchi tiratori e franchissimi traditori, inciuci,
lacrime, sangue, merda. Ma non s’era ancora visto un presidente della
Repubblica scelto da chi ha perso le elezioni. Ma, siccome c’è sempre
una prima volta, pare che sia proprio questo lo scenario che la sorte
potrebbe riservarci di qui a una settimana, quando le Camere riunite
cominceranno a votare per il nuovo capo dello Stato. Quaranta e rotti
giorni fa gli elettori hanno issato sul podio tre partiti minoritari, in
quest’ordine: Pd, M5S, Pdl. Ora il leader del primo, che ha perso 3,5
milioni di voti in cinque anni, ha deciso di chiedere al terzo, che ne
ha persi 6,5, di concordare insieme una rosa di nomi fra i quali
eleggere un nuovo capo dello Stato “condiviso”. Un modo elegante per
riconoscere al terzo partito il diritto di veto sui nomi sgraditi al suo
capo, il noto B. Il tutto è avvenuto di nascosto, tra il lusco e il
brusco, in una location predisposta da Denis Verdini (quello che ha più
processi che capelli in testa, ed è un noto capellone), in una stanzetta
attigua alla presidenza della commissione Trasporti della Camera, al
quinto piano di Montecitorio. Roba da far venire la nostalgia dello
streaming. Ber&Ber erano affiancati dai rispettivi vice, Enrico
Letta e Angelino Alfano, che però a un certo punto sono usciti in
corridoio perché il tête- à- tête non avesse testimoni e nulla
trapelasse della “rosa”. Ma non servono microspie né palle di vetro per
immaginarla, tanto la conoscono tutti a memoria: Severino, Bonino,
Cancellieri, Finocchiaro, Marini, Amato, Violante, D’Alema, Grasso e –
secondo alcuni – pure De Rita. A prescindere dall’età e dal sesso, il
minimo comune denominatore è che B. si fida di loro, avendone
sperimentata l’assoluta affidabilità nei momenti difficili. Siccome però
non si può dire, ecco le formule politichesi alla vaselina:
“personalità non divisive”, “soluzioni condivise”, “figure di garanzia”.
Non divisive da B. Condivise con B. Di garanzia per B. Contro chi e
cosa? Contro i giudici e i processi. Insomma, garanzia fa rima con
amnistia. Perciò sono esclusi tutti i personaggi della società civile,
da Zagrebelsky a Rodotà, pericolosamente sbilanciati dalla parte della
Costituzione. Non va bene neppure Prodi: divisivo, non condiviso e non
di garanzia perché non ha mai trattato con B. Pare di leggere l’ultimo
pizzino mafioso: “Mai al potere comici e froci”. Per nobilitare
l’ignobile operazione, c’è chi ha colto al balzo il monito di Napolitano
a un nuovo compromesso storico, come se si potessero paragonare Moro e
Berlinguer con B&B, ma soprattutto due situazioni storiche
totalmente diverse: 35 anni fa si trattava di includere un partito
popolare di massa come il Pci nell’area di governo dopo 30 anni di
conventio ad escludendum; qui di mantenere nella stanza dei bottoni un
vecchio puttaniere che non ne è mai uscito, avendo governato 11 anni su
19. Restano poi da chiarire un paio di particolari. 1) Che senso ha
ripetere ogni due per tre, come fa Bersani, “mai al governo con
Berlusconi” e poi fargli scegliere il capo dello Stato? Se B. –
giustamente – non deve neppure toccare un governo che può durare anche
mezza giornata, a maggior ragione dovrebbe restare a debita distanza dal
Presidente, che durerà certamente sette anni. 2) Che senso ha insistere
col dialogo con i 5Stelle (che, detto per inciso, sono passati da zero
voti a 8 e più milioni) per il governo e tagliarli fuori dal Quirinale?
Piaccia o no, sono gli unici che han scelto un metodo trasparente per
scegliere il proprio candidato al Colle: la consultazione online tra i
loro iscritti. Si spera che esca un nome che piaccia anche agli elettori
del Pd e metta in imbarazzo gli eletti. Un presidente che garantisca la
Costituzione e la legalità. Quindi non B. Ma tutti noi.
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giovedì 11 aprile 2013
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