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domenica 6 gennaio 2013
Elezioni, i professori lasciano Ingroia che per le liste punta sulla società civile - Il F.Q. - Enrico Fierro
Il sociologo Marco Revelli e Livio Pepino di "Cambiare si può" rinunciano, mentre
l'ex pm punta sui nomi della società civile. Lunedì il leader incontrerà Ilaria Cucchi,
che si è già detta "onorata" della possibilità di correre alle elezioni. Tra i candidati anche
Franco La Torre, figlio di Pio, dirigente del Pci ucciso dalla mafia.
“Antonio non c’è, torna domenica dal Guatemala”. Antonio è Ingroia, il leader di
“Rivoluzione civile”, il nuovo movimento che si è posto l’obiettivo pazzesco (quasi un
tentato suicidio politico, per molti osservatori) di mettere insieme società civile, partiti
della sinistra estrema e di conquistare una buona pattuglia di parlamentari. Il tutto in
poche settimane. I ragazzi dello staff aspettano il suo ritorno per definire liste, strategie e programmi. Per il momento non c’è neppure una sede ufficiale (“ci stiamo arrangiando”),
le cose cambieranno dalla prossima settimana quando l’ex pm palermitano avrà un
quartier generale nel centro di Roma, ma c’è ottimismo.
Gli attivisti guardano con entusiasmo alle continue adesioni sul web (“25mila negli
ultimi due giorni”), con scaramantica fiducia ad alcuni sondaggi che oscillano dal 5 al
7%, con preoccupazioni ad altri. L’ultimo vedrebbe la coalizione rosso-arancione sotto
la soglia di sbarramento. Intanto circolano già i nomi dei possibili candidati. Antonio
Ingroia sarà capolista in tutte le circoscrizioni, il 60-70% dei posti in lista sarà riservato
alla società civile e ai movimenti, tra cui “Cambiare si può”, il resto lo sceglieranno i
vertici di Idv, Federazione della sinistra e Verdi di Bonelli. Sarà direttamente Ingroia a
dire l’ultima parola sui candidati valutando non solo la fedina penale (“non devono avere
neppure una multa”, è la regola), ma anche la loro storia di impegno civile.
Le candidature - Ilaria Cucchi, la sorella del giovane Stefano morto in carcere dopo i
maltrattamenti subiti il 29 ottobre 2009, si sarebbe già detta “onorata” per la proposta di
candidatura (lunedì inconterà Ingroia a Roma per decidere) insieme a Franco La Torre,
figlio del dirigente del Pci Pio, ucciso dalla mafia, Gabriella Stramaccioni, direttrice di
Libera, e Flavio Lotti, da sempre impegnato nei movimenti per la pace. “Ma nei prossimi
giorni potremo pubblicare i nomi di altre personalità della società civile pronte a metterci
la faccia”, dicono dal quartier generale di Rivoluzione civile. Antonio Di Luca, operaio
della Fiat di Pomigliano D’Arco, tra i più attivi nella Fiom di Landini, è pronto a firmare
la candidatura, mentre continuano le pressioni sul giornalista Sandro Ruotolo e la ricerca
di candidature di prestigio in realtà difficili come la Calabria.
“Qui – ci dicono dallo staff – vogliamo puntare su personalità che in questi anni si sono
impegnate nella lotta alla ’ndrangheta e alle sue commistioni con la politica e sui sindaci
che hanno dimostrato che si può governare senza sporcarsi le mani con gli affari e i
boss”. Insomma, grande è ancora la confusione sotto il cielo del nuovo movimento.
Ingroia ha due problemi di fronte, il primo è il rapporto con l’altra branca del movimento
arancione, il gruppo di “Cambiare si può” dell’ex magistrato Livio Pepino, del sociologo
Marco Revelli e del professor Paul Ginsborg. Il movimento si è spaccato sulla scelta
dell’alleanza con Idv, Rifondazione, Verdi e Pdci. I partiti non presentano simboli,
l’unico è quello di Rivoluzione civile, ma candidano i segretari e dirigenti. “Cambiare
si può” ha sottoposto a referendum la scelta lo scorso 31 dicembre. Risultato: su 13200
aventi diritto hanno votato per via telematica in 6908, e il 64,7% (4468) ha detto sì
all’alleanza con la lista Ingroia. La conseguenza finale sono state le dimissioni di
Chiara Sasso, Livio Pepino e Marco Revelli, dal vertice del movimento. “Il nostro
mandato si è concluso e per quanto ci riguarda non è più rinnovabile”.
Ma il problema più spinoso è quello del rapporto con i partiti, basta seguire le discussioni
sui social network per accorgersi che la scelta di lasciare spazio a loro candidature crea
più di un maldipancia. “Attenti ai riciclati. No ai vecchi tromboni di Di Pietro. Basta
con gli ex”. Per Antonio Di Pietro c’è poco da allarmarsi: “Saremo una rappresentanza
simbolica e non saremo nelle prime fasce”. Si vedrà a liste presentate. C’è poi l’incognita
del programma. In questi giorni più di un commentatore ha rimproverato ad Ingroia il
suo essere monotematico: lotta alla mafia e basta.
Il programma - “Non è così”, dicono i collaboratori dell’ex pm, mostrando la bozza che
sarà il manifesto della campagna elettorale. Spesa pubblica, non si toccano sanità e
istruzione. Via 94mila auto blu e 7mila consigli di amministrazione inutili. Scioglimento
delle Province e no agli aerei F35. No ai 47 miliardi di tagli imposti dal fiscal-compact
perché “questo comporta la distruzione dello stato sociale”. Ingroia annuncia “una
proposta rivoluzionaria appena entreremo in Parlamento”. Sull’economia punta su
“produttività del sistema” e sull’innovazione. Torni il falso in bilancio e una patrimoniale
giusta sulle grandi ricchezze”. Questa è la rivoluzione civile di Antonio Ingroia.
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