lunedì 11 marzo 2013

L'ambasciatore delle tangenti buone - Marco Travaglio

Carta Canta - l'Espresso, 8 marzo 2013
Il 24 e 25 febbraio gli elettori non hanno soltanto sbaragliato i vecchi partiti e quelli 

finto-nuovi, ma anche messo in mora gli intellettuali “organici” che da decenni campano alla loro ombra o al loro seguito. Cioè quell'esercito di scopritori dell'acqua calda, di sfondatori di porte aperte, di scalatori di discese che non hanno mai esercitato alcun controllo indipendente sul potere, di cui fanno intrinsecamente parte, anzi ne hanno sempre avallato e rilanciato le imposture anziché aiutare l'opinione pubblica a liberarsene. Alla vigilia delle elezioni, per esempio, l'ambasciatore Sergio Romano, rispondendo a due lettori del Corriere della sera, commentava da par suo le indagini sui casi di corruzione internazionale di Finmeccanica in India ed Eni-Saipem in Algeria. La prima risposta era eloquentemente intitolata: “Se la guerra alla corruzione danneggia l'economia nazionale”. La corbelleria ripetuta da Berlusconi in campagna elettorale trovava così un autorevole (si fa per dire) avallo.

Romano, bontà sua, non accusa di rovinare l'economia italiana direttamente i magistrati, ma la convenzione Ocse del 1997, sottoscritta da 39 paesi occidentali fra cui l'Italia. Solo che - argomenta - l'Italia è più sfortunata degli altri perché la nostra magistratura è indipendente dalla politica e può “opporre al governo, anche quando il Paese ha urgente bisogno di esportare, l'articolo della Costituzione sull'obbligatorietà dell'azione penale”. Invece, secondo Romano, ci sono paesi più fortunati di noi, come “Francia e Inghilterra” dove “il governo può esercitare un certo controllo sulla magistratura e ha quindi una maggiore libertà di azione”: nell'autorizzare o nel coprire le tangenti per truccare le gare per commesse internazionali. Una bella fortuna, non c'è che dire. Nella seconda risposta Romano si supera, elogiando “alcuni Paesi, fra cui la Germania” che fino all'ultimo avrebbe “cercato di fare una distinzione fra tangenti interne ed esterne sanzionando le prime e chiudendo un occhio sulle seconde”. Già, perché proprio questo sarebbe il punto debole della convenzione Ocse: la pretesa che “anche le tangenti esterne venissero punite”. Addirittura! Grave errore, secondo l'illuminato ambasciatore, perché con questa lotta alle tangenti esterne “stiamo andando un po' troppo di corsa. Piuttosto che cercare di fare pulizia anche in casa d'altri, dovremmo limitarci a fare pulizia in casa nostra”. E come? Distinguendo fra le mazzette cattive e quelle buone e giuste. E quali, di grazia? Quelle – tenetevi forte - “pagate all'estero” che “non creano evasione fiscale e arricchimenti indebiti nel proprio Paese” e dunque “possono essere considerate un inevitabile tributo allo stato di sviluppo dei nostri clienti”.

Ecco il sistema ideale per aiutare il Terzo Mondo a svilupparsi: rimpinzarlo di mazzette e insegnandogli a premiare non il merito, ma la corruzione e il mercato sporco. Chissà a quali fonti di diritto comparato si abbevera l'ambasciatore. Basta connettersi col sito del Foreign Corruption Practices Act americano, nato nel 1977 dopo lo scandalo Lockheed e reso di recente ancor più severo, per scoprire le salatissime multe a sei zeri appioppate sotto l'amministrazione Obama a una quarantina di compagnie Usa beccate a pagare tangenti internazionali. La Johnson & Johnson, per aver corrotto medici e pubblici funzionari in Europa e in Iran, dovrà sborsare 70 milioni di dollari. La Monsanto 450. E la texana Kbr, del gruppo Halliburton già guidato da Dick Cheney, 560. Anche l'Eni, quotata a New York, è stata multata due anni fa dalla Sec e dal Dipartimento di Giustizia per 360 milioni a causa di una tangente versata in Nigeria. La Germania, per gli stessi motivi, ha spolpato colossi come Siemens, Daimler, Man, Eads-Airbus, Deutsche Bahn. E così ha fatto, per mezzo miliardo di dollari, l'Inghilterra con Bae, concorrente inglese di Finmeccanica, scoperto a ungere ruote all'estero. Con buona pace di Berlusconi e di Romano. Il quale continua a disinformare i lettori del Corriere, ma almeno – e questo è l'aspetto positivo – ha smesso di rappresentare l'Italia in giro per il mondo.

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