
Si avvicina il giorno dell’inventario dei danni fatti in questi sette
anni da Giorgio Napolitano. Dalle firme apposte alla velocità della luce
sulla peggiori leggi vergogna di B., in gran parte incostituzionali, ai
continui moniti a ogni indagine giudiziaria che coinvolgesse il potere
(Unipol-Antonveneta, Potenza, Why
Not,
Salerno- Catanzaro, Rai-Mediaset, lady Mastella, Rifiutopoli a Napoli,
Ruby, trattativa Stato-mafia) contro il presunto “scontro fra politica e
magistratura” che mettevano sullo stesso piano i politici aggressori e i
pm aggrediti. Dalla riabilitazione di Craxi agli attacchi a Grillo
proprio alla vigilia di tornate elettorali. Dal progressivo ampliamento
progressivo dei poteri e delle prerogative presidenziali, ben oltre i
limiti della Costituzione, fino alla pretesa da monarca assoluto di non
essere ascoltato neppure quando parla con un inquisito intercettato.
Dalle interferenze nell’indagine palermitana sulla trattativa per conto
di Mancino al recente, incredibile diktat ai magistrati (che han subito
obbedito senza fiatare) di sospendere i processi a B. per marzo-aprile
in nome di inesistenti impedimenti politico-istituzionali. E poi il
salvataggio di B. nel novembre 2010 con il rinvio del voto di sfiducia a
dopo la finanziaria (intanto quello comprava deputati un tanto al
chilo). E il risalvataggio di B. nel dicembre 2011 con l’idea geniale
del governo Monti al posto delle elezioni che avrebbero asfaltato il
Caimano. E il rifiuto opposto ai 5Stelle di considerare un premier
apartitico (ingenuamente non indicato dai grilli) per favorire
l’inciucio Pd-Pdl, con “saggi” incorporati. E la gestione demenziale del
caso dei due marò, ricevuti in pompa magna al Quirinale come eroi
nazionali. E, dulcis in fundo, le grazie concesse ad Alessandro
Sallusti, condannato a 14 mesi per aver pubblicato su Libero notizie
false, mai smentite e gravemente diffamatorie contro un giudice
torinese; e al colonnello americano della Nato Joseph Romano, condannato
a 7 anni definitivi per il sequestro di Abu Omar e latitante dal 2007.
Mai, prima d’ora, l’istituto della grazia era stato usato per
sconfessare sentenze definitive appena pronunciate e salvare condannati
che non avevano scontato un giorno di pena. A riprova del fatto che
Napolitano è convinto di essere il capo della magistratura, legittimato a
impartirle ordini e a raddrizzarne i verdetti se non collimano con i
suoi capricci o con le pretese di un “alleato” che tratta l’Italia come
il cortile di casa propria, dal Cermis ad Amanda Knox. Forse non tutti
colgono lo scandalo di questa grazia. Romano è stato giudicato colpevole
dalla Cassazione per aver rapito nel 2003 – insieme a 27 agenti Cia e
con l’appoggio del Sismi del generale Pollari – l’imam di Milano e
averlo poi imbarcato della base Nato di Aviano a quella di Ramstein, e
di lì al Cairo, dove fu interrogato e torturato per mesi. Il sequestro –
scrive la Cassazione – “venne realizzato per trasportare il prigioniero
in uno Stato, l’Egitto, nel quale era ammesso l’interrogatorio sotto
tortura, a cui Abu Omar fu effettivamente sottoposto”. E pazienza se “la
tortura è bandita non solo dalla leggi europee”, ma anche da mezza
dozzina di convenzioni Onu e Ue. Tutte regolarmente sottoscritte
dall’Italia, tutte violate dai sequestratori italiani e americani di Abu
Omar e dai governi italiani di destra e di sinistra, che dal 2006 a
oggi proteggono questi delinquenti col segreto di Stato, con tre
conflitti di attribuzioni contro i giudici alla Consulta e col blocco
dei mandati di cattura disposti dai giudici per assicurarli finalmente
alla giustizia. Chissà che ne pensa la neopresidente della Camera Laura
Boldrini, giustamente sensibile ai diritti umani, del sequestro e della
grazia a un latitante che non ha scontato un giorno di galera e non
rischiava neppure l’arresto. Si spera che al prossimo giro salga al
Quirinale un custode della legalità e della Costituzione.
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