sabato 29 giugno 2013

Un ministro da cacciare - Marco Travaglio - Il F.Q. 29/06/2013.

Il governo Letta, in appena due mesi di vita, ha perso per strada prima il sottosegretario (Biancofiore) e poi il ministro (Idem) delle Pari Opportunità. La prima per una scemenza sui gay, la seconda per una serie di pasticci edilizi e fiscali. Ma non è detto che chi resta sia meglio di chi se n’è andato, anzi quando si sente parlare il ministro della Difesa Mario Mauro viene la nostalgia non solo della Idem, ma perfino della Biancofiore. E non solo per le fesserie che continua a dire sugli F-35 (“amare la pace significa armare la pace”). Ma soprattutto quando, non si sa bene a che titolo, parla di giustizia. L’altra sera l’ex berlusconiano ora montiano ma sempre ciellino era ospite di Porta a Porta, comodamente assiso accanto alle neoalleate Paola De Micheli (Pd) e Daniela Santanchè (Pdl: indichiamo i partiti di appartenenza perché ormai è impossibile distinguerli). Il tema erano i processi di B., di cui nessuno degli ospiti sapeva assolutamente nulla, dunque ne parlavano tutti, aiutati da servizi che parevano scritti da Ghedini (uno definiva “mostruoso” il risarcimento inflitto alla Fininvest per avere scippato la Mondadori e confondeva l’attuale valore in Borsa del gruppo di Segrate con quello di un’azienda che da 22 anni dà utili a chi la scippò al legittimo proprietario). Vespa, in pieno conflitto d’interessi in quanto autore Mondadori, sosteneva il suo editore col decisivo argomento che la sentenza sul Lodo – scritta del giudice Vittorio Metta, corrotto da Previti con soldi Fininvest – è regolare perché gli altri due giudici che non la scrissero non furono corrotti (Previti, si sa, ha il braccino corto e lascia sempre le cose a metà). Mauro la chiama “leale collaborazione fra poteri”: o la magistratura collabora insabbiando i reati dei politici, oppure restituiamo ai politici la licenza di delinquere. Altrimenti “facciamo del male al Paese e ogni cittadino, anche il più fragile, urla il suo sdegno perché non si sente certo nelle mani della nostra giustizia”. Senza contare che rischiamo “di non entrare in Europa”: non perché abbiamo il record europeo di corruzione, evasione e mafia, ma perché i magistrati perseguono politici corrotti, evasori e mafiosi. A quelle parole deliranti c’era magari da attendersi qualche pigolio della De Micheli (che però s’è appena sposata col paggetto Confalonieri a reggerle il velo). Invece niente, tant’è che Mauro e la Santanchè si felicitavano per la rocciosa “coesione della maggioranza sulla giustizia”. Mauro concludeva che “in questi anni la giustizia è stata spesso subordinata alla lotta politica”. Amen. Ora, che un vecchio sodale di galantuomini come B. e Formigoni la pensi così, è più che comprensibile. Ma, siccome rappresenta il governo, delle due l’una: o il premier Letta (Enrico) condivide i suoi deliri sul ritorno all’immunità, e allora dovrebbe confessare i patti occulti che ancora non ci ha detto; oppure non li condivide, e allora sarebbe cosa buona e giusta se prendesse il suo ministro e lo accompagnasse alla porta. Completavano il quadro il solito inutile vendoliano, tale Stefano, che vorrebbe “separare la vicende giudiziarie da quelle politiche” e Massimo Franco del Corriere , “sconcertato perché il risarcimento deciso dal tribunale è diverso da quello deciso in appello e da quello chiesto dal Pg della Cassazione e perché il Tribunale ha condannato B. nel caso Ruby a una pena superiore a quella chiesta dai pm” (a suo avviso i tre gradi di giudizio servono a fotocopiare tre volte le richieste dei pm, così poi i Franco accusano i magistrati di corporativismo e i giudici di appiattirsi sui pm e chiedono la separazione delle carriere). A quel punto toccava al cosiddetto ministro Mauro dare un po’ d’aria alla bocca: “Io non credo al racconto criminale della vita di eminenti uomini politici, da Andreotti a Berlusconi”. Cioè lui non riconosce le sentenze definitive che dichiarano Andreotti mafioso fino al 1980 e B. corruttore di giudici e testimoni, falsificatore di bilanci e frodatore fiscale, nonché falso testimone sulla P2 e finanziatore illegale di Craxi, capo di un’azienda che compra finanzieri e accumula fondi neri, né tantomeno a quelle provvisorie sulla Puttanopoli di Arcore. Poi passava direttamente alle bugie: “Mi chiedo perché tutte le vicende giudiziarie di B. sono nate nel 1994 dopo che entrò in politica”. Naturalmente non è vero niente, anzi è vero l’opposto: già processato per falsa testimonianza nel 1989 e salvato dall’amnistia, B. e il suo gruppo furono oggetto di indagini a Milano fin dal ’92 e proprio per scamparvi (oltreché per salvarsi dai debiti e dal fallimento) il Cavaliere entrò in politica nel ’94. Infine il ministro Mauro impartiva agli astanti un’imperdibile lezione di diritto costituzionale: “Se il problema è l’equilibrio dei poteri, tirar fuori questo Paese dal guado, discutere un diverso modello costituzionale, come possiamo pensare che sia privo di equilibrio sul tema giustizia?”. E per lui l’equilibrio fra i poteri si conquista con l’“immunità parlamentare”, che merita “un’appassionata difesa”: infatti ha scoperto che “i padri costituenti diedero la “totale indipendenza alla magistratura perché l’Italia usciva dal fascismo”, ma oggi bisogna “garantire anche la politica”, rendendola immune da indagini.

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